“La terra degli aranci tristi e altri racconti” di Ghassan Kanafani

“La terra degli aranci tristi e altri racconti” è il suggestivo titolo di una raccolta di racconti brevi di Ghassan Kanafani edito dall’Associazione Culturale “Amicizia Sardegna- Palestina” e tradotto da Chiara Brancaccio. Ghassan Kalafani nasce nel 1936 ad Acri ( la San Giovanni d’Acri dei crociati) in terra di Palestina, allora sotto dominazione inglese intenzionata già chiaramente a consegnare il territorio palestinese al movimento sionista perché potesse installarvi delle colonie di ebrei europei. La breve  vita di Kanafani si intreccia saldamente alla letteratura e alla politica in un trinomio assolutamente inscindibile. Nel giorno in cui compie 12 anni, esattamente nel 1948, l’anno della nakba , la “distruzione” per antonomasia per il popolo palestinese , le bande armate sioniste fecero un massacro a Deir Yassin. Ghassan da allora decise che mai più avrebbe festeggiato il suo compleanno. E mantenne fedelmente la promessa fino all’attentato che lo uccise a soli 36 anni.   

Il libro si apre con una introduzione alla vita e alle opere dell’autore a cura di Waim Dahmash,, ricercatore di Lingua e Letteratura araba presso l’Università di Cagliari, che ce lo dipinge con amore e maestria lasciando nei lettori  una forte sensazione di rimpianto  per non poter più godere delle bellissime storie che avrebbe continuato a narrare se la vita fosse stata con lui più generosa di anni. In un centinaio di pagine si snodano “Oltre il confine”, “L’orizzonte oltre la porta”, “ L’arma vietata”, “Tre lettere dalla Plestina”, “Il verde e il rosso”, “ La terra degli aranci tristi”, “Ucciso a Mossul”, “ Niente”. Ogni  racconto è una pennellata di storia quotidiana, specchio vivo della Storia con la S maiuscola. Ghassan  Kanafani  prende per mano il lettore e lo inoltra nelle strade polerose di Acri, di Haifa, di Giaffa , gli fa sentire la paura,  le speranze e le delusioni di Abu Ali, di Hibraim Abu Diyye, di Surur Barham, che con le loro famiglie vivono vite da incubi e in perenne esilio, cacciati con violenza e con la forza delle armi dalle loro terre, dalle loro case, senza che il consesso internazionale intervenga se non a parole poco convinte a fermare scempio e distruzione.

Brevi le trame su cui è costruito il racconto, ma intense sono le emozioni che ogni singola pagina comunica, scuotendo l’animo e accendendo la rabbia per le tristi vicende di un popolo che giustamente si definisce “vittima delle vittime”. Penetrano nel naso gli odori, i sapori, ma anche e soprattutto “il fetore della sconfitta” di chi vive a Gaza.

“Questa Gaza, più angosciosa del respiro di chi nel sonno è colpito da un incubo, con i vicoli stretti e con un suo odore di sconfitta e di miseria, con le case dalle terrazze prominenti … questa Gaza”.

Difficile, per questo giovane scrittore segnare il confine tra narrazione e poesia.  Il racconto che da il titolo al libro, “La terra degli aranci tristi” ha come voce narrante un bambino. Un bambino che si imbatte nell’orco. Attraverso i suoi occhi e il suo sentire si vive la fuga della famiglia dalla propria casa e dal proprio paese. Si vive la paura “la tragedia aveva già trovato una buona strada per insinuarsi in ogni cellula del nostro corpo”… “la famiglia unita e felice ce l’eravamo lasciata alle spalle insieme alla terra, alla casa, ai caduti”. “Nel pomeriggio, arrivati a Sidone, eravamo diventati profughi”.

Il racconto “Ucciso a Mossul” è, a parer mio, tra i più belli. Costruito con maestria, con penna felice, capace di trasmettere rabbia e voglia di ribellione a chiunque creda ancora che la terra su cui abitiamo è di tutti.

Sono stata a Nablus, ho visitato Hebron.  Da straniera non ho potuto sentire il sapore delle arance tristi, ma mi hanno lacerato il cuore e l’anima gli occhi tristi dei bambini e i segni dell’impotenza nei visi degli adulti.

Ghassan kalafani  unì l’attività politica nel Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina all’impegno letterario. Sarà lui a parlare, a proposito della specificità palestinese, di “letteratura della resistenza” e a sollecitare il coinvolgimento diretto degli intellettuali.

Viene fatto saltare in aria con la sua auto e sua nipotina sedicenne l’8 luglio del 1972, a Beirut. Di fronte a casa sua.

 Faceva caldo quel giorno. L’umido appiccicaticcio penetrava nelle ossa.  E nei cuori di migliaia di persone che lo accompagnarono per l’ultimo saluto, penetrò disperazione e rimpianto per aver perduto  uno dei più promettenti intellettuali palestinesi.  Ghassan kanafani è, come si legge nelle bella introduzione al libro di   Wasim Dahmash “una vera e propria metafora di questa dolorosa vicenda contemporanea, proprio a cominciare dalla sua più tenera infanzia”.

Rossana Copez