69 anni di Nakba

I 69 anni dall’inizio della Nakba palestinese hanno marcato nella giornata di ieri anche il  ventinovesimo giorno di sciopero della fame per i prigionieri politici palestinesi.

Basterebbe questo legame tra passato e presente a evidenziare il carattere continuativo di un evento simbolo che ha segnato e segna ancora la vita dei palestinesi, in Palestina come in diaspora.

La parola Nakba ha assunto varie  sfumature di significato nel tempo: da quello più letterale di catastrofe; a quello di un “ongoing Nakba”, per sottolinearne la durata del tempo; ancora si è arrivati a intendere la nakba come una “struttura” e non solo come un “evento”, a indicare come le sue conseguenze abbiano permeato la vita dei palestinesi, istituzionalizzando in qualche modo la catastrofe. Oggi qualcuno tende a non utilizzare neanche più il termine Nakba, ma a indicare il  15 maggio come il giorno del Ritorno, un ritorno che il popolo palestinese sta aspettando appunto da ben 69 anni.

Il linguaggio, insomma, non solo come forma di resistenza quanto anche di una più profonda forma di resilienza e di una continua crescita di consapevolezza degli eventi storici. Significati di parole che si espandono per non chiudersi in interpretazioni fisse, ma che invece cercano di andare di pari passo col passare degli anni e di un tempo che pare si sia fermato per chi, dai campi profughi, non attende che di tornare.

Dall’altra parte, quello stesso tempo che non solo sembra essersi fermato, ma che pesa come un’eternità. Quei 29 giorni di sciopero della fame, di solidarietà popolare internazionale, di lotta che cerca di comunicare un’ulteriore senso di dignità e rispetto.

La protesta degli oltre mille detenuti palestinesi nelle carceri israeliane ben si inserisce in quella struttura che la Nakba ha creato in quel sistema di soprusi e oppressione che è lo stato israeliano e se si analizza la protesta come una delle manifestazioni della Nakba odierna, allora il movimento BDS a livello internazionale ha ben il diritto di porsi come strumento di mobilitazione e di creazione di coscienze e conoscenze.

Il  BDS, come tante altre realtà italiane e internazionali vicine al  popolo palestinese, aderisce e sostiene la protesta dei detenuti anche richiamandosi alle varie campagne in corso. Una in particolare è quella contro l’HP (Hewlett Packard), azienda coinvolta nelle violazioni dei diritti umani dei prigionieri palestinesi. HP fornisce attrezzature e servizi informatici alle carceri israeliane – Israel Prison Service (IPS).

La chiamata del BDS a tutte le persone di coscienza, partita nel 2005 direttamente dalla società civile palestinese, si rivela essere oggi uno dei più efficaci mezzi di solidarietà non violenti in grado di far prendere consapevolezza e posizione nei confronti di uno stato coloniale e d’apartheid.

Il crescente sostegno nei confronti dei prigionieri politici palestinesi è un buon inizio, ma non è ancora sufficiente, per questo il movimento BDS continua il suo percorso di resistenza popolare e solidarietà internazionale.

Per non rimanere indifferenti e conoscere meglio le campagne BDS in atto, vai sul sito https://bdsitalia.org/

alla sezione Campagne; mentre per rimanere aggiornati sulla protesta dei prigionieri politici palestinesi:

http://samidoun.net

http://www.addameer.org/

 

A.M. B.