Pantere Nere e Palestina: l’internazionalismo Nero e la rivoluzione palestinese

Nell’immagine: Eldridge Cleaver con una delegazione palestinese in Algeria. Fonte: @intifadablack

di Derek Ide

traduzione: Associazione Amicizia Sardegna Palestina

Introduzione

Il 19 agosto 2014, dieci giorni dopo l’uccisione del diciottenne Michael Brown da parte della polizia di Ferguson, il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina ha rilasciato un comunicato in supporto alla lotta dei Neri negli Stati Uniti. Il sottotitolo del comunicato affermava in maniera sicura:  “L’impero imploderà”. Il Fronte definiva Michael Brown come un “martire”, in lotta contro dalla brutalità della polizia “come parte integrande del sistema razzista” degli Stati Uniti e affermava che, nonostante vivessero all’interno dei confini statunitensi, le comunità Nere si scontravano con “l’oppressione coloniale”. In particolare, il comunicato invitava “tutti i palestinesi, nello specifico la comunità palestinese negli Stati Uniti, a continuare e intensificare i loro sforzi in supporto al movimento di liberazione dei Neri. Supporto che ha una lunga tradizione ed è essenziale per espandere e approfondire questi legami di lotta e solidarietà per tutte le nostre comunità”[1].

Sei anni dopo, come conseguenza dell’omicidio di George Floyd da parte della polizia, abbiamo assistito al primo colpo “dall’interno” contro l’impero statunitense, nel momento in cui i manifestanti di Minneapolis hanno invaso un intero distretto e hanno dato fuoco a una stazione di polizia. In un clima del genere, la “lunga tradizione” di solidarietà merita di essere ricordata, celebrando la connessione tra le Black Panthers e la Palestina.

Il 20 Agosto 1969, un titolo della rivista The Black Panther recitava: “Sionismo (Nazionalismo Kosher) Imperialismo = Fascismo”. Ripercorrendo le tracce storiche del Sionismo e la creazione dello stato di Israele, le Pantere analizzavano in maniera eloquente il “Nazionalismo Kosher” come una faccia dell’imperialismo internazionale[2].

Il Pan-African Festival di Algeri nel 1969 si era appena concluso il mese precedente e il rivoluzionario in esilio Eldridge Cleaver svolse un ruolo fondamentale in quell’evento internazionale. La famosa foto di Cleaver e il Feldmaresciallo delle Black Panthers Donald Cox mentre sollevavano la mano di Yassir Arafat in segno di solidarietà appartiene a quel periodo. Il messaggio era chiaro: il Sionismo era nemico dei movimenti di liberazione in Palestina, nell’America Nera e nel piu vasto Tezo Mondo.

Due settimane dopo la denuncia del “Nazionalismo Kosher” nella rivista The Black Panther, in una nota della CIA si leggeva: “Il Generale Bonesteel è preoccupato” perché “Eldridge Cleaver è apparso a Panmunjom dove si sta mobilitando per diverse cause, inclusa quella per una Palestina libera”[3].

Tale preoccupazione nasceva a seguito della decisione del governo Nord Coreano di invitare Cleaver a partecipare alla International Conference of Journalists of the Whole World in the Fight Against U.S. Imperialist Aggression nel Settembre 1969 a Pyongyang. Destare l’ira di Charles Bonesteel, comandante delle forze statunitensi in Corea, durante un tour nella Repubblica Popolare Democratica di Korea, stava a indicare per Cleaver una genuina paura del radicalismo Nero ai vertici militari e dell’intelligence statunitense.

Il fatto che Bonesteel, rappresentante dei più alti ranghi militari in Asia, fosse in allarme  per la mobilitazione di Cleaver per una Palestina libera, era una conferma ulteriore che il legame tra l’internazionalimo Nero e la Palestina era una delle preoccupazioni dell’establishment e delle sue reti di intelligence.

Se la storia della relazione tra le Black Panthers e Palestina è ben nota, due altri casi meritano di essere approfonditi: quello di Robert F. Williams della Carolina del Nord e la Lega dei Lavoratori Rivoluzionari Neri di Detroit.

Con il primo, si vuole evidenziare la creazione di circuiti transnazionali di produzione e scambio di conoscenza; come anche l’importanza di avere accesso a stati e spazi rivoluzionari in cui questo scambio potesse avvenire.

Il secondo esempio, la Lega dei Lavoratori Neri, esemplifica il potenziale e i limiti della solidarietà transnazionale per incoraggiare la rivoluzione domestica.

Robert F. Williams e la “scellerata alleanza di brutali sterminatori”

Robert F. Williams era il rivoluzionario transnazionale per eccellenza durante gli anni ‘60 e il suo esempio ha inaugurato una nuova era dell’internazionalismo Nero. Come capo del Monroe, sezione del NAACP nella Carolina del Nord,  prese le difese di Hanover Thompson e Fuzzy Simpson, due ragazzi neri accusati di aver baciato una ragazza bianca. È salito alla ribalta esprimendo la necessità per i neri di adottare la tattica dell’autodifesa armata, dopo che la sua sezione del NAACP venne presa di mira alcuni membri locali del Klu Klux Klan. Il suo pensiero era che i razzisti sono “più feroci e violenti quando possono praticare la violenza impunemente”[4].

L’obiettivo di Williams era quello di spogliare i bianchi di questa impunità. Dopo essere stato incastrato per rapimento (mentre ospitava una coppia di bianchi per proteggerli da una folla inferocita), Williams è fuggito a Cuba, dove ha fondato Radio Free Dixie con la benedizione di Fidel Castro, riuscendo a trasmettere fino al sud degli Stati Uniti. Ha inoltre curato una pubblicazione chiamata The Crusader.  Nel 1965 Williams si reca nel Vietnam del Nord, e più tardi in quello stesso anno si trasferisce in Cina dove, durante alcune manifestazioni di massa insieme a Mao Zedong a Pechino, avrebbe tenuto discorsi per condannare il razzismo e l’imperialismo degli Stati Uniti.

L’attaccamento di Williams alla causa palestinese si è consolidato proprio durante il suo soggiorno in Cina, quando ha avuto l’opportunità di incontrare due rappresentanti di Fatah nell’aprile 1968. Questo episodio è significativo perché avvenuto un mese dopo l’eroica battaglia di Karameh, dove le forze di Fatah e quelle giordane hanno respinto un feroce assalto israeliano e, di conseguenza, il movimento di guerriglia palestinese ha raccolto sostenitori in tutto il mondo. Come ha osservato Williams, questo “incontro molto fruttuoso mi ha dato una comprensione più ampia delle questioni legate alla lotta patriottica del popolo arabo contro l’aggressione israeliana e il sionismo espansionistico”. Firmata “Presidente in esilio del Movimento d’Azione Rivoluzionaria”, l’analisi di Williams recita:

…sono convinto che Israele sia impegnato in una sinistra missione di genocidio contro il popolo arabo… Con il sostegno del mondo sionista statunitense e britannico, il Sionismo sta cercando di emulare il saccheggio e la conquista da parte degli europei della terra dei nativi, ora chiamata America. Il popolo arabo oggi è minacciato dal Sionismo, con la stessa sorte degli indiani d’America…Ci sono grandi somiglianze tra le lotte del popolo arabo e quelle del popolo afroamericano. Stiamo lottando per la sopravvivenza contro una scellerata alleanza di brutali sterminatori. Siamo impegnati in una causa comune di giustizia e sopravvivenza. Trionferemo ad ogni costo. In uno spirito di resistenza comune contro le forze malvagie della tirannia, proclamo con orgoglio la solidarietà con i nostri fratelli palestinesi in lotta e con l’intero popolo arabo”[5].

L’identificazione di Israele come parte di una “scellerata alleanza di brutali sterminatori” era tanto più appropriata se si considera il piano congiunto israelo-marocchino di rapire e assassinare il marocchino di sinistra Mehdi Ben Barka, uno dei progenitori intellettuali della Conferenza Tricontinteniale del 1966 all’Avana[6].  Inutile dire che la valutazione di Williams sulla situazione palestinese ha influenzato i suoi seguaci all’estero.

Finalmente rientrato negli Stati Uniti, Williams è tra i 56 firmatari di un importante documento pubblicato il 1° novembre 1970 sul New York Times intitolato An Appeal by Black Americans Against United States Support for the Zionist Government of Israel. La dichiarazione esprimeva “completa solidarietà con i nostri fratelli e sorelle palestinesi” e denunciava a gran voce il sostegno degli Stati Uniti per “il massacro di Re Hussein ai rifugiati palestinesi e ai combattenti per la libertà” durante il Settembre Nero. Le critiche più dure erano riservate a Israele. I firmatari dichiaravano che Israele è uno Stato colonizzatore bianco, alla pari di Sudafrica e la Rhodesia. In virtù di ciò, hanno sostenuto la proclamazione da parte di Arafat, nel gennaio 1969, di una visione politica per una “Palestina libera” caratterizzata da “uno Stato democratico, laico, non razziale, dove tutti i palestinesi – cristiani, ebrei e musulmani – avranno uguali diritti”[7].

 Importante il fatto che la firma da parte di Williams sia avvenuta dalla città di Detroit e non dalla Carolina del Nord. Infatti, Williams aveva già vissuto brevemente a Detroit in due diverse occasioni, nel 1942 e nel 1948 (l’anno, per inciso, della Nakba palestinese), dove lavorò come autotrasportatore e membro dell’UAW 600. Le sue richieste di autodifesa armata contro il razzismo bianco gli valsero molti sostenitori, e quando fu accusato di rapimento nel 1961, gli attivisti di Detroit formarono il Comitato di Difesa Robert Williams. Williams visse nuovamente a Detroit nel 1969, inserendosi in questa rete di sostenitori, ma in una società molto diversa da quella che aveva lasciato. Le sue idee erano state ora riprese da importanti organizzazioni rivoluzionarie di prestigio nazionale e internazionale. Non è un caso, infatti, che una delle organizzazioni internazionaliste Nere più spiccatamente pro-palestinesi, la Lega dei Lavoratori Neri Rivoluzionari, abbia avuto origine a Detroit. Dei giovani attivisti che hanno formato la Lega, molti erano stati ardenti studenti di Williams e alcuni lo visitarono durante il suo esilio a Cuba.

La Palestina a Detroit: “l’anno della guerriglia eroica”

Alla fine degli anni Sessanta, la città di Detroit ospitava una delle organizzazioni Nere più militanti pro-palestinesi degli Stati Uniti, la Lega dei Lavoratori Neri Rivoluzionari. La Lega si era formata nel 1969 come organizzazione composta da una serie di sindacati rivoluzionari, tra cui il Dodge Revolutionary Union Movement (DRUM) che aveva guidato uno sciopero a gatto selvaggio nella fabbrica di Dodge Main nel maggio 1968. I membri del DRUM avrebbero alla fine ottenuto il controllo editoriale del South End, il quotidiano studentesco della Wayne State University, che stampava 18.000 copie al giorno e vantava un budget di 125.000 dollari[8].

I sostenitori del DRUM, e in particolare John Watson, avrebbero trasformato il giornale nel loro organo mediatico. La teoria di base di Watson era che il South End “non apparteneva all’università, allo Stato, e nemmeno agli studenti come studenti[9]“.  Il giornale era invece una “risorsa pubblica” che “apparteneva a tutta la popolazione”. Questo significava che doveva agire come un organo che rappresentava qualcosa di più di semplici studenti nel campus. Come tale, era destinato principalmente ad organizzare i lavoratori Neri dopo lo sciopero a gatto selvatico presso lo stabilimento di Hamtramck.

Watson riunì immediatamente una cerchia di radicali Neri, tra cui Luke Tripp, Mike Hamlin, il generale Baker, Charles “Mao” Johnson e l’avvocato Kenneth Cockrel, gruppo che sarebbe andato a formare il quadro principale della Lega dei Lavoratori Rivoluzionari Neri.  Quasi tutti avevano legami con Robert F. Williams: il generale Baker per esempio era stato membro del Comitato di difesa di Robert Williams, formatosi nel 1961[10]; altri lo avevano visitato all’Avana in delegazioni di solidarietà.

Mentre The South End era inteso come uno strumento di agitazione tra i lavoratori, era anche un repertorio di notizie e analisi rivoluzionarie provenienti da tutto il mondo. Il primo editoriale proclamava i nuovi obiettivi del giornale: “The South End torna alla Wayne State con l’intenzione di promuovere gli interessi dei poveri, degli oppressi, degli sfruttati e delle vittime impotenti del capitalismo monopolistico e dell’imperialismo bianco e razzista”. Promettendo di “tenere sempre la linea dura”, la testata del giornale recitava: “L’anno della guerriglia eroica”[11].  Il giornale era spesso distribuito fuori dal campus, in particolare nelle fabbriche della città. Una delle sue pubblicazioni più controverse arrivò alla fine del gennaio 1969, quando pubblicò un articolo in difesa dell’organizzazione rivoluzionaria palestinese Fatah. William Keast, presidente del WSU, condannò immediatamente The South End come “antisemita” e “che ricorda la Germania di Hitler”[12].  Nonostante le confutazioni e le lettere al direttore che difendeva Israele, i funzionari della città e dello Stato si unirono all’attacco. I giornali locali come il Detroit News e il Detroit Free Press, così come le stazioni televisive, rincaravano la dose di attacchi sul giornale. Il 3 febbraio, l’ufficio del giornale fu vittima di un tentativo di incendio doloso.

Watson e il suo staff rimasero sinceramente sorpresi da questa reazione, imparando rapidamente che non ci si poteva permettere di essere solidali con la Palestina. Un membro dello staff ricorda che “l’editoriale su Al Fatah” aveva aperto un “vaso di Pandora”[13].  Watson difese il giornale dalle accuse di antisemitismo, spiegando pazientemente che anche i membri ebrei dello staff avevano appoggiato le critiche alle politiche di Israele. Si spinse oltre sostenendo che, grazie a Detroit e Toledo, l’Ohio ospitava all’epoca le più grandi comunità di lingua araba del Nord America, e The South End rappresetava una voce per loro come per chiunque altro[14]. Watson stesso avrebbe in seguito fatto un viaggio in Medio Oriente all’inizio del 1971, dove incontrò i rappresentanti delle organizzazioni rivoluzionarie arabe e portò dei film per pubblicizzare la causa palestinese negli Stati Uniti. 

Conclusioni

Le storie di Robert F. Williams, della Lega dei Lavoratori Neri Rivoluzionari, e del Partito delle Black Panthers sono tutti esempi di interconnessione tra l’internazionalismo Nero e la rivoluzione palestinese. La mobilità di Williams mette in luce i circuiti transnazionali di produzione e scambio di conoscenza che esistevano tra gli stati rivoluzionari; sottolinea, inoltre, la dipendenza dei rivoluzionari transnazionali da questi spazi e da questi stati per la circolazione e diffusione delle esperienze rivoluzionarie.

L’esperienza della Lega evidenzia i modi in cui la solidarietà internazionalista può contribuire ad alimentare la rivoluzione interna. E l’esempio del Partito delle Black Panthers mostra come l’internazionalismo possa rafforzare il prestigio internazionale e la legittimità delle organizzazioni rivoluzionarie che sfidano il capitalismo, il razzismo e l’imperialismo.

I combattenti in prima linea a Minneapolis dovrebbero ricordarci le parole del ventunenne martire Fred Hampton, presidente della sezione di Chicago delle Black Panthers: “Se hai il coraggio di lottare, hai il coraggio di vincere. Se non osi lottare, allora, dannazione, non meriti di vincere”[15]

L’articolo è stato pubblicato in arabo su Al Adab


[1] Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, “PFLP salutes the Black struggle in the US: The empire will fall from within,” Aug. 19, 2014, http://pflp.ps/english/2014/08/19/pflp-salutes-the-black-struggle-in-the-us-the-empire-will-fall-from-within/

[2] The Black Panther, “Zionism (Kosher Nationalism) Imperialism = Fascism,” August 30, 1969

[3] General CIA Records, “MEMORANDUM FOR THE RECORD FROM L. K. WHITE,” CIA-RDP80R01284A001800120074-4, September 16, 1969.

[4] Robert F. Williams, Negroes with Guns (1962), 4.

[5] Robert F. Williams, “Statement of Robert F. Williams in Support of the Palestine National Liberation Movement,” April 13, 1968. University of Michigan Archives.

[6] Per approfondimenti circa il ruolo di Israele nell’assassinio di Mehdi Ben Barka, si veda Ronen Bergman’s Rise and Kill first: The Secret History of Israel’s Targeted Assassinations (Random House, 2018), 66-94.

[7] “An Appeal by Black Americans Against United States Support for the Zionist Government of Israel,” New York Times, November, 1970.

[8] Georgakas and Surkin, 44

[9] Ibid., 45.

[10] Mullen, 195.

[11] Georgakas and Surkin, 46

[12] Ibid., 52.

[13] Ibid., 51.

[14] Ibid., 53.

[15] Fred Hampton discorso tratto da “The Murder of Fred Hampton” (1971).