Materiali

Indice

1. Corrispondenze da Gaza, di Meri Calvelli – da forumpalestina.org (14-15/06)

2. A Gaza ̬ la guerra civile di Michele Giorgio Рil Manifesto (13/06)

3. «Basta con la guerra civile», di Michele Giorgio – il Manifesto (14/06)

4. Gaza, repubblica Islamica di Michele Giorgio – il Manifesto (15/06)

5. Gaza dopo la «vittoria», isolamento totale, di s.d.r. – il Manifesto (16/06)

1. Corrispondenze da Gaza

di Meri Calvelli,
Associazione per la Pace
Coordinamento presenze civili di pace in Palestina e Israele

tratte dal sito forumpalestina.org.

Gaza, 14 giugno 2007

Scende il buio pesto su questa giornata di sangue nella striscia di Gaza.
Per tutto il giorno anche oggi gli scontri sono stati fortissimi e violenti.
Se inizialmente erano alcuni gruppi che si scontravano, man mano che la “conquista” ha realizzato il bottino, le file si sono allargate e hanno avanzato nella presa degli obbiettivi.
Hamas gia dal giorno prima era riuscito a prendere alcune delle piu’ importanti postazioni militari e della sicurezza, che ancora erano sotto il controllo di Fatah.

La battaglia piu’ grossa quindi si e’ consumata a Gaza City, dove dopo ore e ore di fortissimi scontri, Hamas ha conquistato il piu’ grande e principale centro della sicurezza palestinese “Ukai”, roccaforte di fatah, obbiettivo principale e motivo sin dall’inizio degli scontri tra queste due fazioni.

Le prime testimonianze su cio’ che e’ accaduto dentro sono di esecuzioni sommarie su quelli rimasti.
Molti uomini sono stati portati via sotto gli spari, nudi come per oltraggio e punizione; distrutti e saccheggiati gli uffici. Le TV arabe mostrano mascherati che entrano e che prendono tutto cio’ che di valore si trovava all’interno compresi fucili e munizioni.

Anche qui e’ quindi stata issata in alto, la bandiera verde di hamas.

Altri episodi durante questa presa di gaza City, hanno contraddistinto e sottolineato la durezza e lo sconvolgimento di queste giornate.
La distruzione e la chiusura di tutte le radio, di fatah, ma non solo. Rimane praticamente solo radio Al Aqsa unica radio di hamas.
Mentre diversi grossi dirigenti di Fatah, prendevano il largo con le barche giovani facenti parte della sicurezza, abbandonavano le postazioni; in lacrime hanno lasciato i posti ma sono stati costretti a fuggire perche’ non sapevano piu’ che cosa fare.

Da dentro la casa dove sono posso vedere il Muntada, il palazzo del presidente, che rimane ancora l’ultimo obiettivo; pare deserto, il palazzo degli spettri.

Un ultimatum diceva che Venerdi avrebbero pregato li dentro e cacciando gli infedeli, fatto diventare il palazzo una grossa moschea.

Gaza, venerdi 15 giugno 2007

Questa mattina, dopo una nottata di silenzio e buio totale, per la mancanza di elettricità, che è durata tutta la giornata di ieri, la situazione al risveglio dalla grande battaglia, mi da una strana sensazione.
Come se niente fosse successo, si ricominciano a sentire i rumori dei claxon, le urla dei bambini.
Levati alcuni blocchi, che fermavano la circolazione, ricominciano a passare le macchine; quelle che prima usava la ANP, le macchine della sicurezza, adesso con la bandierina verde, sfrecciano in nome di Allah.
Radio Shabab che la mattina usavo ascoltare, con le dolci note di Fayruz, è sparita. I redattori mi hanno raccontato l’assalto e la distruzione.
Gli spari continuano, almeno in questa zona, nei pressi del Palazzo del Presidente. Non si capisce contro chi e che cosa, considerando che la fazione opposta non è più in battaglia. E’ prevista per oggi la preghiera, dentro questo palazzo.
Ancora non posso uscire, tanti cecchini continuano a sparare. Veramente mi è difficile anche affacciarmi malla finestra. Ora sicuramente la situazione si farà pesante. Cecchini che potrebbero decidere di colpire ancora senza senso, caos assoluto almeno per il momento.

2. A Gaza è la guerra civile

di Michele Giorgio

su Il Manifesto del 13/06/2007

Episodi di brutalità estrema di una fazione contro l’altra, senza più regole, senza limiti. Abu Mazen accusa Hamas di preparare un golpe, Hamas accusa Mohammed Dahlan, boss di Al Fatah, di tirare le fila (per conto terzi). Il governo di unità nazionale verso la dissoluzione. Come la Palestina

«Quei ragazzi sono la nostra salvezza» ci diceva due giorni fa il palestinese Nafez Kahlut riportandoci da Rafah a Gaza city, indicando un folto gruppo di studenti davanti ad una scuola. «Sino a quando non terminerà il tawuji (esami di stato) che impegna migliaia di ragazzi e ragazze, Hamas e Fatah non si combatteranno, vogliono evitare vittime civili, un bagno di sangue», aveva aggiunto con tono sicuro. E invece le certezze di Nafez sono crollate poche ore dopo, le sue previsioni si sono rivelate completamente errate. Ieri gli studenti alle prese con la maturità sono rimasti a casa, le scuole non hanno aperto e nelle strade di Gaza si è scatenato l’inferno. In poche ore almeno 20 palestinesi uccisi, tra cui alcuni civili, decine i feriti – in due giorni sono 43 i morti. E lo spettro della guerra civile che tutti esorcizzavano alla fine si è materializzato in tutte le sue orrende forme. Le strade si sono trasformate in un campo di battaglia, con i cecchini piazzati sugli edifici più alti pronti a far fuoco sui «nemici», ovvero su altri palestinesi. Una violenza inaudita, un disprezzo della vita dell’avversario che non esisteva a Gaza dove la popolazione si dichiarava fino ad un anno fa «unita nella lotta contro l’occupazione israeliana».
Ieri una granata rpg ha centrato la casa del premier Ismail Haniyeh (Hamas): il secondo attacco in due giorni nonostante la presenza in zona di decine di uomini della «Tanfisie» (Forza esecutiva). L’abitazione è rimasta danneggiata, mentre il primo ministro e la sua famiglia sono rimasti illesi. Poco dopo è stato sequestrato e trucidato in strada il cugino di Abdel Aziz Rantisi, il leader di Hamas ucciso in un raid aereo israeliano nel 2004. Atroce la vendetta di Hamas: tre donne e un ragazzo di 14 anni sono morti in un attacco compiuto da miliziani di Ezzedin al Qassam contro la casa di un alto funzionario della sicurezza di Fatah, Hassan Abu Rabie. Attacchi sono stati compiuti contro abitazioni di altri dirigenti di Fatah e il portavoce, Maher Maqdah, sa di essere finito sulla «lista nera» di Hamas e perciò vive barricato in casa. I miliziani delle due parti non risparmiano gli ospedali. Entrano nelle corsie e sparano con l’intenzione di eliminare gli avversari rimasti feriti negli scontri a fuoco. Lunedì era avvenuto nell’ospedale Shifa di Gaza city, ieri in quello di Khan Yunis. «E’ una situazione gravissima, non riesco a credere ai miei occhi, la crudeltà reciproca non ha limiti», ci diceva ieri il dottor Muawiya Hassanin, dell’ospedale Shifa.
Come i palestinesi di Gaza siano giunti al punto di non ritorno, si potrebbe spiegarlo in mille modi. Il ministro dell’informazione Mustafa Barghouti ieri ha sollecitato l’Unione europea a riconoscere il governo di unita’ nazionale e a riprendere gli aiuti finanziari diretti, attribuendo all’embargo internazionale il deterioramento della situazione. «Il nostro obiettivo è di convincere l’Ue a trattare direttamente con i palestinesi di tutte le fazioni che fanno parte del governo», ha detto. Giusto, ma non si può non tenere conto del ruolo svolto dall’ex ministro Mohamed Dahlan – che risponde ad ordini provenienti da Washington, Londra e forse anche da Tel Aviv – nel sabotare sistematicamente il governo di unità nazionale nato dagli accordi della Mecca (8 febbraio) perché «Hamas non deve governare, neppure assieme a Fatah».
Ruolo destabilizzante che anche ampi settori di Fatah condannano, a cominciare da quelli che a Gaza ruotano intorno ad Ahmad Helles, ex segretario generale che due mesi fa aveva criticato duramente la decisione di Abu Mazen di nominare vice presidente del Consiglio per la sicurezza nazionale (che supervisiona i servizi segreti) proprio Dahlan, il nemico principale di Hamas. Una scelta che si è rivelata benzina sul quel fuoco che sta ora riducendo in cenere il governo di unità nazionale.
«Chi e’ il nemico?», abbiamo chiesto ad Abul Abed, nome di battaglia del comandante di Ezzedin al Qassam nel distretto di Sheikh Radwan. «Dahlan». è stata la risposta secca. Non sorprende ma, allo stesso tempo, rivela la visione ristretta di Hamas rispetto al gioco che sta avvenendo a danno di tutto il popolo palestinese. Dahlan è solo un burattino nelle mani di qualcuno. Il «nemico» è l’occupazione che dura da 40 anni, l’embargo internazionale che colpisce tutti i palestinesi, di qualsiasi colore, senza eccezioni, l’assedio, anche economico, che strangola Gaza, una enorme prigione in cui i detenuti ora lottano per un «potere» inesistente. Abu Mazen ieri ha accusato i capi di Hamas di preparare un «putsch», un colpo di stato. Il movimento islamico invece dichiara di voler chiudere i conti con Dahlan (che se ne sta al sicuro in Egitto) e i suoi alleati. E per farlo in effetti avrebbe bisogno di appena qualche ora. Il potere di Fatah, l’autorità della presidenza dell’Anp, il controllo dei servizi di sicurezza, sono ormai parte del passato. Si limitano a quattro edifici e caserme a Gaza city: il quartier generale di Abu Mazen, la sede centrale delle forze di sicurezza (Saraya), i palazzi della sicurezza preventiva e quelli della guardia nazionale. Potrebbero essere espugnati in breve tempo, ma a prezzo di un bagno di sangue. Hamas controlla tutta Gaza. Ieri migliaia di uomini della Tanfisie e di Ezzedin al Qassam si sono schierati a Khan Yunis e Rafah incontrando scarsa resistenza. Il nord della Striscia di Gaza è stato proclamato «area militare chiusa», interdetta ad agenti delle forze di sicurezza e ai militanti di Fatah legati a Dahlan. «Non vogliamo uno spargimento di sangue, per questo non abbiamo ancora chiuso la partita – ci ha spiegato Abul Abed – ma anche perché sappiamo che proclamando il nostro controllo totale del territorio, daremmo a Israele una occasione per attaccare e rioccupare Gaza. Ma Fatah in ogni caso è finito». E sta per «finire» anche il governo di unità nazionale.
Ieri il Comitato centrale di Fatah si è riunito a Ramallah per decidere l’uscita dall’esecutivo.

3. «Basta con la guerra civile»
A Gaza Hamas ha sconfitto al- Fatah. Ma è la Palestina ad avere perso

(14/06)

Michele  Giorgio

(di ritorno da Gaza)

Ieri sono scesi in strada a centinaia. Donne, anziani, giovani simpatizzanti del Jihad islami e del Fronte popolare, ma soprattutto persone comuni. Con l’unico intento di chiedere ai miliziani di Hamas e Fatah di smetterla con il bagno di sangue in cui sta affogando Gaza. C’era anche il generale egiziano Burhan Hammad che sta invano tentando di mediare tra le parti. Qualcuno ha portato alla manifestazione la sua bandiera verde islamica, molti altri quella con i colori della Palestina. In corteo hanno attraversato il centro di Gaza city e si sono diretti verso le zone più pericolose, incuranti dei cecchini piazzati sui tetti degli edifici più alti pronti a fare fuoco. «Basta con la guerra civile», «Siamo fratelli», ricordavano gli striscioni che stringevano tra le mani tremanti per la paura.
Ma quelle parole di buon senso, dirette al cuore di chi spara, sono state portate via dal vento caldo di una Gaza dove la vita umana ora conta ben poco, dove coloro che fino a qualche tempo fa sorseggiavano il té e fumavano il narghilé assieme ora si sparano addosso.
Quando il corteo ha raggiunto una via nella quale si scontravano i miliziani, una delle due parti ha aperto il fuoco contro i manifestanti uccidendone due e ferendone altri 16. Le telecamere di al-Jazeera hanno anche ripreso giovani e donne disarmati che a calci e pugni tentavano in ogni modo di separare gli armati cacciandoli dalla strada, nonostante alcuni dei combattenti avessero a più riprese aperto il fuoco contro di loro mirando in aria o ai piedi. I due morti della manifestazione pacifista hanno inevitabilmente richiamato alla mente la guerra civile in Bosnia. Una strage conclusasi solo nel 1995. I palestinesi rischiano di replicarla.
Ieri a Gaza a cadere sotto il fuoco delle opposte fazioni sono stati anche due funzionari palestinesi delle Nazioni unite che ora intendono rallentare le operazioni di assistenza umanitaria. Nessun problema invece per i 4 dei 5 cooperanti di ong italiane rimasti bloccati per alcuni giorni a Gaza city. Grazie alla Croce rossa hanno potuto lasciare Gaza dove contano di ritornare non appena la situazione sul terreno lo consentirà, per continuare l’impegno in sostegno dei civili palestinesi. Indietro hanno però dovuto lasciare la loro collega ed amica Meri Calvelli (Associazione Yalla) alla quale non è consentito entrare in territorio israeliano e quindi non ha potuto raggiungere Gerusalemme.
Sono stati 22 i morti di ieri, oltre cento i feriti, e Hamas, che ormai controlla tutta Gaza – Fatah limita il proprio controllo ad alcune postazioni isolate -, minaccia un’offensiva generale se entro domani alle 19 (le 18 in Italia) le ultime forze fedeli al presidente Abu Mazen non avranno consegnato le armi. E fa sul serio, come dimostra l’attacco contro il quartier generale della Sicurezza preventiva di Khan Yunis: militanti islamici hanno scavato una galleria sotto l’edificio facendovi esplodere un potente ordigno. Ieri sera si scavava ancora tra le macerie in cerca di superstiti. Se in passato i miliziani di Fatah si erano macchiati di crimini orrendi, ora sono quelli di Hamas ad apparire impegnati in una gigantesca resa dei conti che in molti casi assume le caratteristiche di una vendetta mafiosa che non fa onore ad un movimento che fino a qualche tempo sosteneva che non avrebbe mai puntato le armi contro altri palestinesi. La caccia all’uomo è spietata e talvolta prende di mira semplici poliziotti e attivisti di Fatah che hanno soltanto eseguito ordini dei «capi» che Hamas afferma di voler colpire. I dirigenti di Fatah sono irreperibili, a cominciare dall’ex «uomo forte» Mohammed Dahlan che se ne sta al sicuro in Egitto. I vari comandanti (fra cui Rashid Abu Shbak) sono scomparsi da giorni, forse avevano capito che la resa dei conti era vicina e hanno abbandonato i loro uomini.
Contro Fatah, Hamas ricorre anche alla guerra psicologica. Il suo portavoce, Sami Abu Zuhri, ha fatto appello via radio ai genitori degli agenti affinché «vadano a riprendersi i figli, e salvino loro la vita». Membri delle Brigate al-Qassam hanno telefonato ai cellulari dei loro rivali politici e li hanno esortati a consegnarsi. Secondo una radio di Hamas, le defezioni sono state centinaia. A Rafah decine di agenti delle forze di Abu Mazen hanno preferito consegnarsi alle forze egiziane, per sottrarsi ai combattimenti. Decine di miliziani di Hamas per inseguirli hanno cercato di aprire una breccia con dell’esplosivo nel muro in una zona del corridoio «Philadelphi», il tratto di 14 chilometri di frontiera tra il Sinai egiziano e la Striscia di Gaza. Le forze di sicurezza egiziane hanno dovuto circondare l’area per impedire scontri a fuoco.
Il senso di impotenza e di frustrazione nei vertici di al-Fatah è forte. In Cisgiordania i primi a reagire sono stati i miliziani delle Brigate dei martiri di al-Aqsa, che hanno attaccato a Nablus decine di sostenitori di Hamas. In parte sono stati feriti, in parte sequestrati. L’offensiva di Hamas sta facendo materializzare un territorio palestinese «bicefalo»: la Cisgiordania in mano a Fatah, Gaza dominata dal movimento islamico. Una prospettiva che Israele non intende neppure prendere in considerazione e il rischio di un massiccio attacco militare contro la Striscia è molto concreto.

4. Gaza, repubblica islamica

di Michele Giorgio

su Il Manifesto del 15/06/2007

Hamas ha il pieno controllo della Striscia e la sua ala più dura parla del «califfato». Ieri altri 32 morti negli scontri. Al-Fatah sconfitta ricambia in Cisgiordania le atrocità subite. L’imbelle Abu Mazen scioglie il governo di unità nazionale e proclama lo stato di emergenza. Ma l’Olp è finita mentre Israele vaneggia sull’Iran ed è pronto ad attaccare. E se la ride

La decisione è arrivata ieri in tarda serata, confermando le indiscrezioni circolate per tutto il giorno. Abu Mazen ha sciolto il governo di unita’ nazionale e ha proclamato lo stato di emergenza in risposta all’attacco di Hamas che ha spazzato via quasi completamente le strutture del suo partito, Fatah, e delle forze di sicurezza dalla Striscia di Gaza. Non solo ma ha anche sancito la nomina di un nuovo esecutivo che rimarrà in carica un mese, il ricorso alle urne non appena le circostanze lo permetteranno e la messa al bando delle milizie di Hamas, dichiarate tutte fuorilegge.
Il presidente palestinese ha così seguito alla lettera le raccomandazioni ricevute dal Comitato esecutivo dell’Olp, compreso l’appello al dispiegamento di un contingente internazionale che Hamas ha minacciato di considerare una forza di occupazione mentre ha descritto come «prive di valore» le decisioni di Abu Mazen. La guerra fra palestinesi, scatenata anche da interessi occidentali, israeliani, arabi e islamici, era già in atto, presto se ne scriverà un nuovo capitolo insaguinato.
Il fumo nero, denso, che ieri si è sollevato dalla sede di Radio Voce della Palestina, mentre gli attivisti di Hamas strappavano alle fiamme tutto ciò che era possibile saccheggiare, è stato il segno della fine dell’autorità di Abu Mazen e di Fatah nella Striscia di Gaza. Poco dopo la guardia presidenziale ha abbandonato il valico di Rafah dove si sono stabiliti gli uomini della Tanfisiyeh, la milizia del movimento islamico. Una sola forza è al comando a Gaza, Hamas, o meglio il suo «capo di stato maggiore», Mohammed Deif, che ha diretto dalla clandestinità l’operazione militare che ha spazzato via Fatah in appena quattro giorni. Se tutto ciò al quale abbiamo assistito significa che a Gaza sta per sorgere la «Repubblica islamica» alla quale hanno fatto riferimento diversi dirigenti e militanti di Hamas, è troppo presto per dirlo. Di sicuro la storia ha voltato pagina nei Territori occupati. Il movimento di liberazione nazionale nato con l’Olp guidata da Fatah di Yasser Arafat. che poco a poco si è allargata ad altre organizzazioni laiche ed islamiche e che nei prossimi mesi avrebbe dovuto includere lo stesso Hamas, si è spezzato e le due parti potrebbero non ricongiungersi più.
Per il movimento islamico ieri è stato un giorno di gioia, «la seconda liberazione di Gaza» ha commentato il portavoce e deputato Sami Abu Zuhri che è arrivato a paragonare la cacciata di Fatah alla presa della Mecca da parte del profeta Maometto.
L’ala dura di Hamas canta vittoria mentre i più pragmatici tacciono e quello che si ascolta in queste ore fa crescere le preoccupazioni per il destino del popolo palestinese, che ha perduto quasi tutto nel 1948, il resto 20 anni dopo, è stato rapinato dalla gestione di Fatah negli anni della cosidetta «pace di Oslo», violentato da una occupazione militare israeliana sempre più dura e che ora deve affrontare l’incognita dei nuovi «governanti» di Gaza. Nizar Rayan, uno dei dirigenti più noti di Hamas, ha parlato di un califfato islamico nella Striscia. «Oggi, il sermone del venerdì – ha detto – lo celebrerò io stesso nella Saraya (il comando ancora nelle mani delle forze fedeli ad Abu Mazen) che sarà trasformata in una grande moschea… entro poche ore il laicismo non avrà più spazio a Gaza e non ne rimarrà nessuna traccia… il fiore dell’Islam sta trionfando contro la prostituzione».
Rayan sogna il califfato ma il futuro di Gaza si annuncia fatto di lacrime e sangue, soprattutto per i civili. Israele ha sbarrato i valichi, le pressioni internazionali stanno montando persino più di quelle già in atto, l’assistenza umanitaria internazionale sta rallentando e la Commissione europea ha bloccato i programmi di aiuto alla popolazione. L’assedio percioò sarà intenso, stretto, soffocante. Il governo Olmert parla di «avamposto iraniano» alle porte di Israele e non bisogna avere un fiuto particolare per prevedere operazioni militari senza precedenti contro Gaza al primo lancio di razzi Qassam. I leader di Hamas non vedono tutto ciò, abbagliati come sono dal verde delle loro bandiere. La forza dei palestinesi sta(va) nell’unità, non nella loro spaccatura in nome di un potere che non conta nulla, in meno di 400 kmq di territorio.
Ieri le milizie di Hamas sono riuscite ad espugnare due roccheforti di Fatah: le sedi della Sicurezza preventiva a Tel al-Hawa (ribattezzata subito Tel al-Islam) e dell’Intelligence generale a Sudanya, a Gaza city. Le forze di Hamas hanno marciato anche su Rafah, al confine con l’Egitto e hanno completato la presa di Khan Yunis. Hamas controlla quasi l’intero territorio della Striscia, tutta Gaza city meno la sede presidenziale Muntada e la caserma Saraya e ha messo fuori uso non solo la radio ufficiale dell’Anp ma anche le emittenti private Radio Hurrya e Radio Shebab. Restano attive soltanto la radio e la televisione satellitare di Hamas, al-Aqsa, che ieri ha mandato in onda immagini di uomini di Fatah arresisi dopo la caduta dell’edificio della Sicurezza preventiva. Alcuni erano in mutande, con le braccia alzate, che uscivano da quello che negli anni ’90 era il luogo dove Mohammed Dahlan ordinava di torturare gli oppositori islamici dell’Anp e di tagliare loro le barbe in segno di spregio. Nell’edificio sarebbero state trovate le prove della collaborazione tra i servizi segreti guidati da Dahlan e la Cia ma la notizia non ha sorpreso nessuno.
Alla felicità per il successo militare ottenuto sono però seguite da atrocità e vendette terribili di Hamas che hanno messo sullo stesso piano i padroni di un tempo con quelli di oggi. Almeno 32 palestinesi sono rimasti uccisi nei combattimenti e in una esplosione presso una stazione di polizia nel centro di Gaza. E’ stato passato per le armi Samih el-Madhun, un capo delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa e Hamas ha in mano una lista di esponenti di Fatah da eliminare: Dahlan è in cima, ma con lui ci sono anche i generali Manar Shehadeh e Jihad Sarhan, gli alti ufficiali Mahmoud Abu Shareef e Naser Abu Shawar, i due capi della sicurezza Abu Hashem e Jihad al-Aqqad e, naturalmente, Nabil Tammus, il capo delle «squadre della morte». Personaggi che si sono o si sarebbero macchiati di crimini gravissimi negli anni passati, che Hamas intende punire con una giustizia sommaria e spietata.
La vendetta di Fatah intanto è scattata e nei prossimi giorni le ritorsioni in Cisgiordania del partito di Abu Mazen contro quelli di Hamas si intensificheranno e potrebbero bagnarsi di altro sangue palestinese. Decine di membri del movimento islamico sono stati arrestati o sequestrati in Cisgiordania dalle forze di sicurezza e della Brigate di Al-Aqsa Al Fatah. In un villaggio un religioso di Hamas è stato portato fuori dalla moschea da un gruppo di miliziani e gambizzato. Stessa sorte ha subito un consigliere comunale a Ramallah. Gli studenti simpatizzanti di Hamas sono stati attaccati nelle università, specie in quella di Nablus, dove sono stati espulsi dai loro colleghi di Fatah.
Israele osserva ciò che accade e non reagisce. Aspetta di capire quali saranno gli sviluppi. Ma con i palestinesi sono spaccati e che si fanno la guerra fra loro, per l’occupazione è una vittoria.

5. Gaza dopo la «vittoria», isolamento totale

Haniyeh a Abu Mazen si accusano reciprocamente del «colpo di stato». Ritorsioni di al Fatah contro Hamas in Cisgiordania

(16/06)
S.d.R.

Gaza, la Cisgiordania, Israele, il mondo arabo, gli Stati uniti, l’Europa stentato a riprendersi dallo shock per gli avvenimenti dell’ultima settimana nella striscia, che è stata – per scelta o per cecità – lasciata bollire fino a scoppiare. Con effetti, umani e politici devastanti – è di «almeno» 116 morti e 550 feriti il bilancio diffuso ieri dalla Croce rossa.
Ieri è stato il primo giorno dopo una settimana di combattimenti in cui a Gaza non si è più sparato. Con la conquista del palazzo presidenziale di Abu Mazen – che è a Ramallah -, avvenuta nel corso della notte su venerdì, i miliziani di Hamas controllano ormai interamente il territorio della Striscia, dal quale sono fuggiti quasi tutti gli uomini di Fatah, chi verso l’Egitto (più di 200 agenti in 24 ore via mare o via terra per il valico di Rafah, prima della chiusura). Altri sono prigionieri di Hamas, anche se ieri mattina il premier (o ex) dell’ex-governo di unità nazionale Ismail Haniyeh ha annunciato l’amnistia per tutti gli uomini del Fatah a condizione che consegnino le armi esortando nel contempo i suoi a cessare rappresagli sanguinose, escuzioni sommarie e saccheggi seguiti alla «vittoria» militare, che sono «contrari alla morale del nostro popolo».
Haniyeh, in una conferenza stampa, ha defininito «precipitosa» e «illegittima» la decisione presa nella serata di giovedì dallo stesso Abu Mazen di sciogliere il governo d’unità nazionale, annunciare la costituzione di un governo d’emergenza e le elezioni anticipate. «Il governo in carica – ha detto il premier destituito – porterà avanti i suoi compiti». In un segnale che vuole essere distensivo, Haniyeh proposto la ripresa dei colloqui con Abu Mazen («ribadisco che la porta è ancora aperta per ricostruire le relazioni palestinesi sulla base dei valori nazionali») e ha anche escluso l’intenzione di creare una Repubblica islamica di Gaza («La Striscia di Gaza è una parte indissociabile della patria e i suoi abitanti costituiscono una parte indissociabile del popolo palestinese»). Entrambe le parti accusano l’altra di aver effettuato un colpo di Stato.
Abu Mazen però non sembra dare ascolto a Haniyeh. Ieri ha annunciato la nomina di un nuovo primo ministro: è Salam Fayyad, 55 anni, ministro delle finanze del governo di unità nazionale e ministro dell’economia nel governo di al Fatah del 2002. Un moderato che piace agli americani: ha studiato economia in Texas, ex-funzionario della Banca mondiale, è anche l’unico esponente del governo Hamas-Fatah ricevuto dall’amministrazione Usa (il 18 aprile dal dal segretario di Stato Rice) . E’ anche il fondatore e il leader di del partito «Terza via» di cui è deputato insieme a Hanan Ashrawi.
Intanto sono cominciate le inevitabili ritorsioni contro gente e sedi di Hamas in Cisgiordania, dove al Fatah è più forte. Un esponente del movimento islamico, Anis Salaus, è stato ucciso dalle Brigate martiri di al Aqsa a Nablus, una trentina di militanti sono stati arrestati e sono state incendiati gli uffici di due deputati di Hamas a Ramallah. La «amnistia» decretata da Haniyeh potrebbe allentare un po’ la tensione e le minacce di ritorsione. Si temeva soprattutto per la sorte di una decina di alti dirigenti del Fatah presi prigionieri a Gaza arrestati a Gaza, fra cui il portavoce, Tawfiq Abu Khusa; Jamal Kaidi, capo della sicurezza nazionale; Masbah al-Habisi, capo della guardia presidenziale e Hamuda al-Sheikh, il suo vice; Majid Abu Shamala, segretario di al-Fatah a Gaza, e altri dirigenti. Ieri dovrebbe essere cominciato il loro rilascio.
Gaza si ritrova completamente isolata, fisicamente e politicamente. La Caritas ha lanciato l’allarme di un «rischio umanitario». L’Egitto di Mubarak, con uno schiaffo a Hamas, ha iniziato il ritiro della sua missione diplomatica a Gaza.
Israele, che ha molto lavorato per far precipitare la situazione ma che ora comincia ad avere paura degli sviluppi, dice che non permetterà «una crisi umanitaria» e su pressione Usa (il premier Olmert sarà a Washington martedì) ha annunciato che potrebbe sbloccare per Abu Mazen una parte dei fondi fiscali palestinesi indebitamente (ma con l’appoggio internazionale) trattenuti dagli israeliani dal 2006. Intanto ha chiuso tutti i valichi, quello di Rafah a sud (dove 3000 palestinesi non possono rientrare a Gaza) e quello di Ertz a nord. La ministro degli esteri Tzipi Livni ha già fatto retromarcia sulle vaghe ipotesi di una forza multinazionale per Gaza, dicendo che quel che vuole è una forza che « sia disposta a contrastare Hamas sul terreno». Anche Bush ora comincia ad avere paura e secondo il New York Times chiederà a Olmert di sbloocare i fondi e fare concessioni minimamente serie a Abu Mazen. Non solo, ma starebbe anche pensando all’ipotesi estrema di lasciare Gaza al suo destino e di lanciare il piano «Prima la Cisgiordania». Ma su questo punto Israele non ci sentirà.