Apertura del valico di Rafah?

Si è conclusa la prima missione dell’Associazione Sardegna Palestina dedicata prevalentemente alla situazione politica egiziana e all’apertura del valico di Rafah.

Dopo l’arrivo all’aeroporto del Cairo, ci sistemiamo in un ostello vicino alla celebre Piazza Tahrir, teatro delle recenti proteste che hanno fatto della Piazza il simbolo contro il vecchio regime. Approfittiamo della nostra presenza al Cairo per partecipare al venerdì della collera. Dalla sera precedente, infatti, migliaia di manifestanti iniziano ad occupare la Piazza con le loro tende. Ci rechiamo anche noi poco dopo la fine del coprifuoco, alle cinque del mattino i dibattiti animano già Piazza che, con il passare delle ore, raccoglie circa ventimila manifestanti. La percezione che si ha è quella di una terra usurata da un regime privo di ogni legittimazione. Il paese, logorato dalla politica clientelare di Mubarak e asservita agli interessi degli Stati Uniti e di Israele, ha consegnato migliaia di giovani istruiti e qualificati alla crescente massa di disoccupati. A ciò si aggiungono la forte sperequazione sociale che lacera il paese e le forti reti di nepotismo costruite dalla famiglia Mubarak.Ma ciò che più si percepisce tra la folla di Tahrir è la grossa difficoltà nel redigere la piattaforma politica del paese. Ne parliamo con Abdel, giornalista egiziano che segue quotidianamente Piazza Tahrir. Abdel ci racconta del 25 gennaio come di un evento inatteso, un momento storico che è stato capace di raccogliere tutte le componenti della società egiziana: operai, studenti, docenti, avvocati, donne e uomini, bambini e anziani. Stremato dalla crescente disoccupazione, dalle pessime condizioni di vita e dalle continue violazioni dei diritti, il popolo egiziano, ci spiega Abdel, si è recato in piazza per pretendere 

Circa 400 chilometri separano Il Cairo da Rafah, villaggio palestinese sul confine egiziano e unica porta di accesso all’Egitto per i gazawi. All’alba del 28 maggio lasciamo il vento di protesta egiziano e ci avviamo verso il valico. Quella del 28 maggio è una giornata importante per Rafah. Dopo quattro anni di blocco egiziano, il nuovo governo di transizione ha deciso di aprire il valico. É una disposizione del nuovo governo, una decisione che apparentemente sembra segnare la svolta rispetto alla precedente politica di Mubarak, complice dell’embargo e dei massacri israeliani contro Gaza.

Dunque, ci illudiamo di trovare folle di palestinesi che entrano ed escono dal valico. Al nostro arrivo, niente di tutto ciò. Decine di giornalisti da tutto il mondo sono giunti fino a Rafah allo scopo di immortalare questo “presunto” momento storico. I palestinesi che entrano ed escono sono pochi. Dopo ore di attesa estenuante, la nostra richiesta di ingresso viene bocciata definitivamente al valico. Ma, visto che le porte per l’Egitto sono aperte per i palestinesi, è naturale sperare che i nostri compagni, che ci attendono dall’altra aparte del valico, superino il confine e vengano loro a trovarci da questa parte, in Egitto. Niente di tutto ciò. Nemmeno a loro è concesso. Rimaniamo senza parole e torniamo al Cairo pieni di sconforto.

Il giorno dopo, sfogliando i giornali, ci rendiamo conto di quanto l’apertura di Rafah sia stata solamente un evento costruito dai media. Niente di più.

Per quanto riguarda gli aspetti pratici, l’apertura del valico è una manovra con ancora molti limiti. Essa, infatti, dovrebbe riguardare le donne ed escludere gli uomini dai 18 ai 40 anni. In realtà, anche le ragazze hanno difficoltà ad attraversare il valico, nè è stata prova anche il fatto che, durante le ore di attesa a Rafah, le nostre compagne non ci hanno potuto incontrare. Inoltre, a pochi giorni dall’apertura, il valico è stato nuovamente chiuso per alcune ore senza precisi chiarimenti da parte delle autorità egiziane, un aspetto che fa discutere sulla reale volontà dell’attuale diplomazia egiziana.

L’assedio imposto su Gaza è una manovra che incide su numerosi aspetti della condizione dei palestinesi tanto che l’apertura di Rafah non sarebbe capace, da sola, di migliorare le condizioni della popolazione. I decenni di occupazione israeliana, infatti, hanno consolidato gli apparati di approvvigionamento del nord della Striscia, al contrario, le infrastrutture del sud non sono solo più carenti del nord, ma non sono nemmeno preparate a gestire un eventuale traffico di merci e di persone. Per questioni logistiche, infrastrutturali e politiche, il traffico di merci è stato gestito prevalentemente dagli altri valichi, Sufa, Karem Shalom, Karni, Nahal Oz ed Erez, tutti di giurisdizione israeliana. Ciò permette ad Israele di conservare il sistema di assedio nella stessa misura di prima. In sintesi, il blocco aereo, marittimo e terrestre di Israele contro Gaza persiste ancora e continua a violare i termini della IV Convenzione di Ginevra, le numerose risoluzioni ONU e l’accordo Gaza-Gerico del 1994. A queste condizioni, non solo la libertà di movimento dei palestinesi non è garantita, ma è anche assurdo credere che questa misura possa rispondere all’urgenza umanitaria di Gaza.

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