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Circa 400 chilometri separano Il Cairo da Rafah, villaggio palestinese sul confine egiziano e unica porta di accesso all’Egitto per i gazawi. All’alba del 28 maggio lasciamo il vento di protesta egiziano e ci avviamo verso il valico. Quella del 28 maggio è una giornata importante per Rafah. Dopo quattro anni di blocco egiziano, il nuovo governo di transizione ha deciso di aprire il valico. É una disposizione del nuovo governo, una decisione che apparentemente sembra segnare la svolta rispetto alla precedente politica di Mubarak, complice dell’embargo e dei massacri israeliani contro Gaza.
Dunque, ci illudiamo di trovare folle di palestinesi che entrano ed escono dal valico. Al nostro arrivo, niente di tutto ciò. Decine di giornalisti da tutto il mondo sono giunti fino a Rafah allo scopo di immortalare questo “presunto” momento storico. I palestinesi che entrano ed escono sono pochi. Dopo ore di attesa estenuante, la nostra richiesta di ingresso viene bocciata definitivamente al valico. Ma, visto che le porte per l’Egitto sono aperte per i palestinesi, è naturale sperare che i nostri compagni, che ci attendono dall’altra aparte del valico, superino il confine e vengano loro a trovarci da questa parte, in Egitto. Niente di tutto ciò. Nemmeno a loro è concesso. Rimaniamo senza parole e torniamo al Cairo pieni di sconforto.
Il giorno dopo, sfogliando i giornali, ci rendiamo conto di quanto l’apertura di Rafah sia stata solamente un evento costruito dai media. Niente di più.
Per quanto riguarda gli aspetti pratici, l’apertura del valico è una manovra con ancora molti limiti. Essa, infatti, dovrebbe riguardare le donne ed escludere gli uomini dai 18 ai 40 anni. In realtà, anche le ragazze hanno difficoltà ad attraversare il valico, nè è stata prova anche il fatto che, durante le ore di attesa a Rafah, le nostre compagne non ci hanno potuto incontrare. Inoltre, a pochi giorni dall’apertura, il valico è stato nuovamente chiuso per alcune ore senza precisi chiarimenti da parte delle autorità egiziane, un aspetto che fa discutere sulla reale volontà dell’attuale diplomazia egiziana.
L’assedio imposto su Gaza è una manovra che incide su numerosi aspetti della condizione dei palestinesi tanto che l’apertura di Rafah non sarebbe capace, da sola, di migliorare le condizioni della popolazione. I decenni di occupazione israeliana, infatti, hanno consolidato gli apparati di approvvigionamento del nord della Striscia, al contrario, le infrastrutture del sud non sono solo più carenti del nord, ma non sono nemmeno preparate a gestire un eventuale traffico di merci e di persone. Per questioni logistiche, infrastrutturali e politiche, il traffico di merci è stato gestito prevalentemente dagli altri valichi, Sufa, Karem Shalom, Karni, Nahal Oz ed Erez, tutti di giurisdizione israeliana. Ciò permette ad Israele di conservare il sistema di assedio nella stessa misura di prima. In sintesi, il blocco aereo, marittimo e terrestre di Israele contro Gaza persiste ancora e continua a violare i termini della IV Convenzione di Ginevra, le numerose risoluzioni ONU e l’accordo Gaza-Gerico del 1994. A queste condizioni, non solo la libertà di movimento dei palestinesi non è garantita, ma è anche assurdo credere che questa misura possa rispondere all’urgenza umanitaria di Gaza.
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