IL Bel Libro di Kanafani recensito da Mariangela Piras

La terra, gli aranci, i racconti.

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I libri di racconti sono spesso vituperati anche dai lettori più appassionati. Forse si preferisce un intreccio composito che non esaurisca la sua potenza narrativa in poche battute. Io amo il ritmo dei libri di racconti, specialmente di quelli scritti così bene. Nel caso specifico e visto le premesse che ho dato nella mia presentazione, mi sembrava il modo migliore per farvi entrare in punta di piedi dentro una narrazione, come quella di Ghassan Kanafani, poetica e tagliente, ma profondamente inserita nel contesto palestinese.

La terra è un elemento caro sia nel cinema, che nella letteratura di questo territorio invaso e troppo spesso dimenticato, quasi sempre frainteso: la Palestina. La terra intesa come appartenenza, come identità, la terra come un grembo materno, ma anche come il luogo dell’eterno ritorno. Per quella terra dove crescono gli aranci, attraversata da tutti i pellegrini delle religioni monoteiste, si combatte e si muore, ora come allora.

La terra che nel brano Lettera da Gaza diventa un luogo maledetto, ma difficile da abbandonare, dove «il sole splendeva inondando le strade del colore del sangue», dove anche le pietre fremono di indignazione e s’impara la vita e il valore dell’esistenza.

La terra degli aranci tristi è una raccolta di racconti brevi scritti da Khanafani tra il 1956 e il 1962 in un periodo in cui l’autore attraversava diversi cambiamenti personali: il trasferimento in Kuwait, l’attività giornalistica, l’intensificarsi dell’impegno politico.

Khanafani è ancora oggi considerato uno degli interpreti più capaci della narrazione palestinese. Il suo stile è poetico e abile nel dipingere con delicatezza le scene più cruente dell’ingiustizia umana.

Nel racconto Il verde e il rosso spiega la morte dicendo che ella «sfiora l’essere umano come l’aria sfiora il viso.» La morte è il rosso che genera il contrasto che fa apprezzare il valore della vita. La vita è il verde di «un immenso ramo d’albero che con amore abbracciava moglie, figlio e casa.»

Egli dedica il libro «a coloro che sono caduti per la terra degli aranci tristi e a chi non è ancora caduto…»

Lo dedica, forse, al ragazzo del racconto Oltre il confine che scappa e ritorna da una finestra aperta. Un fantasma che interpreta il senso di impotenza dei profughi dimenticati, privati anche della possibilità di reagire, della stessa speranza di un futuro: «non c’è più un e poi? Mi sembra che la mia vita, la nostra vita, sia una linea retta che procede tranquilla e sottomessa, accanto alla linea della mia causa.. ma le due linee sono parallele e non si incontrano.»

All’indomani della creazione dello stato di Israele, avvenuta nel 1948, Khanafani racconta dei brandelli di vite strappate alla loro terra, racconta del suo peregrinare nella diaspora palestinese.

Racconta dell’andare: l’abbandono della terra dove gli aranci diventano tristi perché riflettono le lacrime dei profughi, dei bambini che in una manciata di momenti lasciano la fanciullezza e diventano adulti. Racconta lo spostamento di un popolo intero che subisce la tragedia di essere vittima delle vittime, come scrive Edward Said.

Egli racconta la Palestina che ho visitato, la diaspora che ancora continua. Racconta, però, anche la resistenza di un popolo che non si arrende, che non perde la dignità e che è disposto a lottare pazientemente fino al ritorno a quella terra degli aranci tristi dove ancora affondano profondamente le sue radici.

(fonte)

Titolo: La terra degli aranci tristi e altri racconti

Autore: Ghassan Kanafani

Editore: Amicizia Sardegna Palestina

Anno: 2012