Il dolore della lotta e la calma della giustizia

Riflessione sull’incontro, testimonianza, con due giovani palestinesi del Campo Profughi di Deheishe, organizzato sabato 11 giugno ’16 dall’Associazione Amicizia Sardegna Palestina

Il dolore della lotta e la calma della giustizia.

Nessuna retorica, nessun inno alla Palestina, nessun piagnisteo, solo il racconto di chi vive quotidianamente la lotta e ne affronta le conseguenze, anche le più estreme.

Davanti a Saeed, ventuno anni, campo profughi di Deheishe, che parla della sua esperienza nelle carceri israeliane, l’ascoltatore cagliaritano si angoscia, è incredulo. Anche chi da anni sostiene il popolo palestinese e credeva di conoscere bene la crudeltà sionista non può credere alle sue orecchie. Lui risponde tranquillamente (anche la sua calma è incredibile) a domande che possono sembrare scontate, ma, come insegna San Tommaso, le ferite dei palestinesi diventano reali solo quando le si assaggia col dito. A proposito di ferite, ecco un ragazzino seduto in fondo alla sala, è Mustafa, il fratellino di Saeed, è grazie a lui se oggi sono entrambi qui, o meglio, grazie ai soldati israeliani che gli hanno sparato a una gamba.

È interessante vedere come questi ragazzi costruiscano la loro lotta anche sulle ferite del proprio corpo e della propria anima. Prima dell’accettazione stoica dei combattenti, nei loro occhi si può vedere la calma di chi, nonostante tutto, sa di essere nel giusto perché lotta, semplicemente, per respirare sulla propria terra. Anche sul volto malinconico di Mustafa è segnata indelebile la volontà di continuare, di non darla vinta a chi gli vuole togliere la terra da sotto i piedi. Sicuramente non smetterà di lanciare pietre.

Noi, “noi occidentali” come si è detto, impariamo, perché abbiamo perso il coraggio di ferirci, ingannati da lotte indolori.

Ba’bash,  Sardegna Palestina