Il governo israeliano e il “pinkwashing” – di Yael Marom

Israeliani partecipano alla Pride parade. Tel Aviv - 12 giugno 2015.
Israeliani partecipano alla Pride parade. Tel Aviv – 12 giugno 2015.

Il governo israeliano ha appena ammesso di aver fatto “pinkwashing1“? Le organizzazioni LGBTQ in Israele stanno minacciando di cancellare l’appuntamento annuale con la Pride Parade a meno che il governo non stanzi più fondi per i loro gruppi locali e le loro cause – e che la smetta di utilizzare la manifestazione solo per promuovere lo Stato di Israele come un bastione del liberalismo progressista agli occhi degli altri stati. La risposta del governo è stata la rimozione del budget per la promozione internazionale.

Di Yael Marom (link fonte)

La comunità LGBTQ in Israele sta minacciando di organizzare una grande manifestazione al posto dell’annuale Tel Aviv Pride Parade, evento discretamente popolare fuori dallo Stato Ebraico. La presa di posizione nasce dall’annuncio del Ministero del Turismo di destinare alla promozione all’estero del Pride di Tel Aviv, ben 11 milioni di shekel (equivalenti a circa 3 milioni di euro), budget superiore di 10 volte a quello destinato annualmente alle organizzazioni LGBTQ all’interno di Israele.

Il comitato nazionale israleiano LGBT ha richiesto al governo di destinare una somma equivalente agli 11 milioni di shekel investiti attualmente sul gay tourism – inclusi i fondi per dipingere un aereo con i colori arcobaleno per i turisti LGBTQ – alle organizzazioni LGBTQ all’interno di Israele. Ma il Ministero del Turismo, invece di andare incontro alle richieste della comunità, ha sospeso la campagna per promuovere la Tel Aviv Pride Parade all’estero, secondo Ynet.

Non posso fare altro che accogliere la decisione del Ministero di ritirare i fondi. È tempo che lo stato smetta di utilizzarci come uno strumento di pubbliche relazioni per nascondere ciò che accade realmente qui: razzismo, crimini dettati dall’odio, violenza, occupazione, segregazione e separazione, intollerabili differenze economiche dovute alla discriminazione e alla marginalizzazione di diversi gruppi appartenenti alla nostra società. È tempo che lo stato smetta di usarci come un mantello rosa per vendere Israele al resto del mondo come qualcosa di diametralmente opposto a ciò che è realmente. Per quanto vorremmo pensare che siamo “sulla strada giusta”, in realtà non siamo una società aperta, né tollerante o liberale.

Una rappresentazione dell’aereo che il Ministero del Turismo ha pianificato di dipingere per il Tel Aviv Pride Parade 2016. (Courtesy)

L’annuncio del Ministero del Turismo, guidato da uno stretto alleato di Netanyahu, è un’ammissione inequivocabile da parte del governo israeliano di non essere interessato a ciò che il paese può fare per la LGBTQ community, ma, piuttosto, a cosa la comunità può fare per il paese.

Israele ha intuito questo meccanismo tanto tempo fa. La lotta della comunità LGBTQ per uguali diritti è una delle battaglie per i diritti civili più ad alta visibilità al mondo, di questi tempi. Ciò che un tempo era tabù, ora può essere l’asso nella manica di Israele, nella partita con l’Occidente.
Invece di parlare dell’occupazione, parliamo di Dana International; invece di parlare di disuguaglianza economica o della creazione di monopoli legati alla privatizzazione delle risorse naturali, parliamo delle paillettes e delle drug queen del Pride Parade. Invece di parlare dell’omicidio di Shira Banki, dipingiamo un aeroplano con i colori dell’arcobaleno e portiamo le celebrità ad adulare la nostra “splendida comunità”, così che quando tornano a casa possano dire a tutti di andare in visita in Israele a spendere i loro soldi.

Ci vorrà più di qualche mantello coi colori dell’arcobaleno per mascherare i crimini che vengono commessi contro la comunità LGBTQ in Israele. Ci vorrà più di qualche strato di vernice per nascondere i tre trangender israeliani che si sono tolti la vita l’anno scorso; il disegno di legge sui diritti LGBTQ che non è mai diventato legge; il budget incredibilmente basso per le organizzazioni LGBTQ e le loro campagne; il fatto che la “terapia della conversione(da omosessuale a eterosessuale)” sia ancora legale; le dichiarazioni omofobe dei parlamentari della Knesset e dei rabbini.
Ci vorrà più di qualche strato di vernice colorata per nascondere il fatto che “omosessuale” e “lesbica” sono ancora parole utilizzate come insulti nella nostra “illuminata nazione; o il fatto che non ci possiamo sposare qui. L’arcobaleno non può nascondere gli adolescenti costretti a scappare da casa per rifugiarsi. E non può nascondere gli omicidi. Gli omicidi.

Il cordoglio per la giovane israeliana Shira Banki, assassinata nella Pride Parade di Gerusalemme del 2 agosto 2015 da Yishai Schilssel, ebreo ultra-ortodosso, che quel giorno accoltellò sei persone. (Yotam Ronen/Activestills.org)

Il più grosso strato di vernice è il liberalismo occidentale utilizzato per mascherare l’occupazione, che dista appena qualche chilometro dalla gioviale, colorata Pride Parade di Tel Aviv – eppure sembra così lontana. La coprite con vernice rosa luccicante, deviate lo sguardo dei turisti dai checkpoint, dai migliaia di prigionieri – centinaia in detenzione senza accuse né indizi, alcuni di loro bambini e clown. Allontanate il loro sguardo dal blocco e dal regime militare che Israele esercita su milioni di palestinesi. Proteggete le loro orecchie dal modo in cui i giovani soldati israeliani, nelle unità d’élite come la “8200”, siano coinvolti nel ricatto e nell’estorsione ai palestinesi sulla base dei loro orientamenti sessuali, minacciando di esporli nelle loro stesse comunità, se non accettano di mettere a rischio la loro vita e la loro integrità per collaborare con le agenzie di Intelligence israeliane.

Il Ministero del Turismo è stato preso alla sprovvista quando il Comitato Nazionale LGBT di Israele ha rifiutato la sua “Pride Plane campaign“. L’accordo secondo il quale il governo sostiene la comunità LGBTQ in Israele – a condizione che essa rimanga confinata dentro Tel Aviv e si colori e imbelletti per sfilare su un palco internazionale, lasciandosi usare (per la propaganda) – quell’accordo pare sia sciolto.
Probabilmente è un segno che noi, comunità LGBTQ, stiamo finalmente rendendoci conto della nostra forza. Forse stiamo iniziando a capire che meritiamo di più di qualche briciola. Magari stiamo iniziando a capire che meritiamo qualcosa in più che essere utilizzati come foglie di fico.
È tempo di smetterla di ballare sulle note della Hasbara.

Traduzione a cura di Associazione Amicizia Sardegna Palestina

1(Si utilizza la parola "pinkwashing" riferendosi all'utilizzo strategico che Israele fa della propria auto-dichiarata tolleranza per deviare l'attenzione dall'occupazione e dalla violazione dei diritti umani.)