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«Sono qui perché avete chiesto scusa». Questo è il senso più profondo, sfuggito ai più o che i più fingono di non capire, della visita in Italia del colonnello Muammar Gheddafi. La prima, una visita «storica». Scusa per le atrocità al limite del genocidio commesse in Libia dall’Italia (non solo l’Italia fascista ma anche quella giolittiana). E perché fosse ben chiaro il concetto, anche se «ora siamo amici» e quel passato è alle spalle, il leader libico è sceso dalla scaletta dell’aereo con una foto ben visibile appuntata sulla divisa e aprendo la strada a un vecchietto vestito da beduino.
La foto mostrava la cattura di Omar al Mukhtar, il leone del deserto impiccato dai fascisti nel 1931 quando aveva più di 80 anni (a proposito: ci sono voluti 28 anni perché la democratica Italia togliesse il veto al kolossal sul simbolo della resistenza libica, in onda stasera su Sky, più di quelli che ci sono voluti alla Francia per consentire la proiezione di «La Battaglia di Algeri» di Gillo Pontecorvo…) e il vecchio beduino era l’ultimo discendente vivo di Mukhtar. Il colonnello, per quanto non sia più il paria e il provocatore dei tempi bollenti della gioventù e, parole del presidente Napolitano, su Africa e Medio Oriente si esprima con «parole di grande moderazione e responsabilità», non ha perso il gusto della provocazione. Ora siamo amici, il passato è alle spalle, ma lui non dimentica.

continua…