La “rivoluzione culturale” in carcere attraverso lettura, istruzione e discussioni letterarie.

Pubblichiamo in italiano la lettera che Khalida Jarrar, membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e del Consiglio Legislativo Palestinese, ha scritto dal carcere per il Palestine Writes Festival.

La lettera è stata tradotta dall’Associazione Amicizia Sardegna Palestina e può essere letta in arabo e in inglese al link: https://www.palestinewrites.org/news1/khalid-jarrar-smuggles-a-letter-for-palestine-writes

 

Lettera dal carcere di Khalida Jarrar

 

Dal carcere Damon di Haifa, in cima al Monte Carmelo, invio i miei saluti e quelli di 40 compagne di prigionia, donne palestinesi che lottano per la libertà nelle carceri israeliane. Estendo il nostro saluto e il nostro omaggio a tutti gli scrittori, studiosi, intellettuali e artisti che raccontano la verità e chiedono libertà e giustizia per tutti gli esseri umani, che difendono il diritto delle persone all’autodeterminazione e si oppongono alla dominazione coloniale e al razzismo.

In questa occasione, consentitemi anche di inviare i nostri saluti e il nostro apprezzamento a tutti gli scrittori, studiosi, intellettuali e artisti arabi che rifiutano la normalizzazione con il sistema coloniale israeliano e che non hanno accettato gli accordi di normalizzazione con l’entità sionista di Emirati, Bahrein e Sudan. Sono prese di posizione come queste che esprimono i profondi legami tra i nostri popoli e danno forza a noi detenuti. Anche se fisicamente siamo tenuti prigionieri da recinzioni e sbarre, le nostre anime restano libere e si librano nei cieli della Palestina e del mondo. Indipendentemente dalla durezza delle pratiche dell’occupazione israeliana e dalle misure punitive imposte, la nostra voce continuerà a parlare liberamente a nome di un popolo che ha subito terribili catastrofi, sfollamenti, asservimento e arresti. Continueremo a far conoscere al mondo la grande determinazione palestinese, a respingere e sfidare senza sosta il colonialismo in tutte le sue forme. Lavoriamo per promulgare e consolidare i valori dell’umanità e cerchiamo di perseguire un riscatto economico e sociale che unisca tutte le persone libere del mondo.

Saluto in particolare i partecipanti a questo panel di chiusura: la compagna Angela Davis, la collega e amica Hanan Ashrawi, Richard Falk, l’amata Susan Abulhawa e Bill V. Mullen.

Come contributo a questa conferenza, vorremmo presentarvi il nostro reale rapporto con la letteratura e la cultura durante la carcerazione. Sotto questo aspetto, la componente più importante sono i libri. I libri sono il perno della vita in prigione. Salvaguardano l’equilibrio psicologico e morale dei combattenti per la libertà che considerano la loro detenzione parte della resistenza generale contro l’occupazione coloniale della Palestina. I libri hanno anche un ruolo importante nella lotta della Volontà di ogni prigioniero contro la Volontà delle autorità carcerarie. In altre parole, la lotta diventa una sfida per i prigionieri palestinesi, tutte le volte che i carcerieri cercano di privarci della nostra umanità e di isolarci dal mondo esterno. Per i prigionieri, la sfida sta nel trasformare la detenzione in uno stato di “rivoluzione culturale”, attraverso la lettura, l’istruzione e le discussioni letterarie.

I prigionieri politici palestinesi incontrano molti ostacoli nell’accedere ai libri. A volte, ad esempio, i libri non ci arrivano perché sono soggetti a rigidi sistemi di controllo e a sequestri, se recapitati da un membro della famiglia. In teoria, ogni donna prigioniera potrebbe ricevere due libri al mese. Ma i libri, soggetti a “controlli di sicurezza”, il più delle volte sono censurati dall’amministrazione penitenziaria col pretesto che istigano alla rivolta. Privare i prigionieri di questi libri è una punizione che gli vieta di ricevere libri per due o tre mesi, come ho sperimentato io stessa nel 2017.

La modesta biblioteca utilizzata dai detenuti è inoltre soggetta a costanti ispezioni e le guardie carcerarie possono pertanto requisire qualsiasi libro introdotto a loro insaputa. Ciò spinge i prigionieri a trovare mezzi creativi per proteggere i libri che potrebbero essere sequestrati. Impedire che i libri vengano sequestrati dalle autorità carcerarie è uno dei compiti più importanti per i detenuti.

In quest’ottica, nonostante le rigide imposizioni, le detenute palestinesi sono riuscite a introdurre una serie di libri famosi. Ad esempio, oltre ad alcuni libri di filosofia e storia, molti dei libri di Ghassan Kanafani, le opere di Ibrahim Nasrallah e Suzan Abulhawa sono tra quelli che i prigionieri hanno potuto leggere e studiare senza problemi. Il romanzo La madre di Maxim Gorky divenne un conforto per le detenute private dell’amore delle loro madri. Le opere di Domitila Chúngara, Abd-Arahman Munif, Al-Taher Wattar, Ahlam Mustaghanmi, Mahmoud Darwish, Le quaranta porte di Elif Shafak, Les Miserables di Victor Hugo, Nawal El Saadawi, Sahar Khalifeh, Edward Said, Angela Davis e Albert Camus sono tra i libri più apprezzati, che hanno evitato ispezioni e sono stati contrabbandati con successo.

Tuttavia, libri come Scritto sotto la forca di Julius Fučík e Lettere dal carcere di Antonio Gramsci non sono mai riusciti a sfuggire alle misure e alle restrizioni dei carcerieri. In realtà, nessuno dei libri di Gramsci è stato mai permesso nelle carceri, a causa di quella che pare una forte avversione delle autorità di occupazione nei confronti di Gramsci.

Una nota positiva è che alcuni libri, scritti da prigionieri all’interno delle carceri, sono potuti giungere fino a noi. Uno di questi, intitolato You are Not Alone, racconta esperienze di prigionia e interrogatorio nelle carceri israeliane.  Quello che sto cercando di dire, miei cari artisti e scrittori, è che i vostri libri, esposti nelle librerie di tutto il mondo, sono braccati e soggetti a confisca da parte delle autorità carcerarie di occupazione israeliana, se tentiamo di accedervi. Qui, i vostri libri vengono arrestati come la nostra gente.

Quella per i libri non è l’unica lotta che i prigionieri palestinesi devono affrontare nelle carceri israeliane. Proverò a darvi un’idea generale delle nostre vite ma tenete presente che la nostra Volontà ci impone di essere forti come l’acciaio.

Le autorità carcerarie israeliane impongono quotidianamente misure oppressive, applicando politiche di segregazione attraverso l’isolamento. Ci privano anche delle visite familiari, impediscono l’ingresso di libri, romanzi, saggi, e vietano completamente i testi divulgativi. Vietano anche il canto in tutte le sue forme. E’ vietato ascoltare o cantare canzoni rivoluzionarie.

Inoltre, siamo autorizzati ad acquistare e usare una sola radio. La radio è un’importante fonte d’informazione e di collegamento col mondo esterno. Ma la radio è più di questo per noi … ci collega con le nostre famiglie e amici che chiamano e inviano messaggi attraverso i vari programmi radiofonici palestinesi.

Le autorità carcerarie israeliane non consentono alcun tipo di assembramento o riunione. Puniscono continuamente le donne detenute, riducendo il numero degli oggetti che possono essere acquistati alla “Mensa”, l’unico “negozio” disponibile.

I detenuti sono continuamente monitorati attraverso le telecamere di sorveglianza posizionate in ogni angolo della prigione, compresa “la piazza” (Al-Forah), dove le detenute ogni giorno, per cinque ore intermittenti, possono sentire il calore del sole fuori dalle loro stanze sbarrate da finestre in acciaio. Le nostre camere sono poi soggette a controlli rigorosi e indisponenti a tutte le ore del giorno o della notte, alla ricerca di un pezzo qualsiasi di carta scritta. Potete immaginare quanto sia stato difficile per me farvi arrivare questo messaggio.

Tutto ciò e molto più ci costringe a usare vari sistemi per contrastare queste politiche. Alcune minuzie e alcuni oggetti possono sembrare banali fuori della prigione, ma hanno una grande importanza per noi detenute. Ad esempio, la penna è importante, la carta è importante e i libri sono considerati un tesoro prezioso. Tutti questi beni sono mezzi utilizzati per la nostra sopravvivenza e la lotta contro l’occupazione, e anche per la nostra crescita.

Su una nota più felice, scopriamo che molti prigionieri, in particolare quelli con lunghe condanne, nonostante le angherie descritte, hanno arricchito la letteratura pubblicando romanzi, che spero guadagneranno l’attenzione di scrittori arabi e internazionali. Il Movimento dei prigionieri ha inoltre pubblicato una serie di studi e ricerche che gettano luce sulla realtà della loro condizione nelle carceri israeliane. Io stessa, mentre ero in prigione nel 2016, ho condotto uno studio sullo Stato delle donne detenute nelle carceri israeliane. Lo studio si è concentrato sugli effetti delle violazioni subite dalle donne palestinesi e dai bambini detenuti all’interno delle carceri. Nel 2019, ho scritto un altro articolo dal titolo Education inside Israeli Prisons, che è stato pubblicato nel libro di Ramzy Baroud sull’istruzione delle donne detenute, intitolato Queste catene saranno spezzate.

Sfortunatamente, a causa del mio arresto, non ho potuto vedere la pubblicazione del libro. Nel documento citato ho prospettato le sfide che deve affrontare l’istruzione all’interno del carcere e, tra queste, l’ostinazione di Israele nell’impedirci di svolgere qualsiasi percorso educativo. Il loro obiettivo è chiaramente quello di isolare i prigionieri, uomini e donne, e di spezzarci trasformandoci in individui senza speranze o progetti per un futuro dignitoso. I detenuti, d’altro canto, danno il massimo per contrastare i tentativi delle autorità carcerarie attraverso il continuo rinnovamento di stratagemmi creativi per ottenere il diritto all’istruzione.

Ora, come seconda fase della nostra lotta per rivendicare il diritto all’istruzione, stiamo cercando di avviare l’istruzione universitaria per il primo gruppo di donne detenute. Sarà la prima volta nella storia che le detenute palestinesi, quelle soprattutto con pene molto lunghe, potranno ottenere una laurea durante la carcerazione. Nel prossimo futuro, sarà disponibile un aggiornamento su questo argomento, e sulle sfide affrontate.

Parte del progetto educativo universitario si basa sul perfezionamento di esperienze palestinesi, arabe e internazionali, attraverso la letteratura di resistenza. Il programma includerà anche ricerche e studi scientifici a nostra disposizione in carcere, nel tentativo di vagliare le capacità analitiche delle donne detenute e d’identificare le ambizioni per il loro futuro.

L’intera iniziativa mira a far nascere e rafforzare la fiducia delle detenute in se stesse, incoraggiandole a considerare la prigione un luogo di sviluppo creativo, culturale e umano. Speriamo che l’iniziativa rafforzi l’idea e le capacità delle donne detenute di cambiare la società, una volta liberate.

Questa iniziativa mira anche a dare un contributo alla lotta generale di liberazione contro l’apartheid israeliano e la disuguaglianza di genere, consentendo alle detenute di proseguire gli studi e d’inserirsi nella forza lavoro quando saranno liberate.

Vorrei sottolineare che, mentre preparavo questa dichiarazione, abbiamo tenuto due sessioni educative per le detenute iscritte all’istruzione universitaria. Erano sessioni di lingua inglese e araba.

Ciò che ha attirato maggiormente la mia attenzione, durante la prima sessione di lingua inglese, è la richiesta a ogni detenuta di simulare la compilazione di una domanda universitaria, precisando il campo di studio che si desidera seguire. Vorrei condividere alcune delle candidature ricevute:

Shorouq: una prigioniera di Gerusalemme che è stata condannata a 16 anni e finora ne ha scontato sei, fu arrestata quando studiava “Scienze Turistiche” all’Università di Betlemme. Il sogno di Shorouq è quello di diventare una guida turistica. Ha scelto la laurea specialistica in Scienze Turistiche perché vuole far conoscere al mondo i luoghi storici della Palestina. È particolarmente interessata a fare da guida nei tour di Gerusalemme, per via delle continue annessioni, furti, violazioni e distorsioni del paesaggio, imposti alla città dall’occupazione israeliana.

Maysoun: una detenuta di Betlemme che è stata condannata a 15 anni di carcere e finora ne ha scontato sei, fu arrestata quando frequentava all’università un corso di laurea in Letteratura. Anche in prigione Maysoun è una lettrice avida. Ama la letteratura. Descrive la letteratura come un modo di costruire il proprio futuro. La letteratura, a suo parere, chiede al lettore di riflettere e rispondere a molte domande riguardanti l’argomento specifico trattato in un romanzo o in un’opera letteraria finita a portata di mano. Crede che tutto questo stimoli il pensiero critico e la crescita culturale.

Ruba: Ruba è una studentessa che frequentava il 3° anno di Sociologia all’Università Birzeit. È stata arrestata tre mesi fa ed è ancora in stato di fermo. Ruba ha il desiderio e l’energia per continuare gli studi al suo rilascio. Secondo lei, la scelta della laurea specialistica in Sociologia è dovuta al desiderio di approfondire le conoscenze accademiche, l’analisi delle strutture sociali e di classe e il loro impatto sulla vita delle donne.

Nel mio tentativo di comprendere le motivazioni alla base delle aspirazioni e dei sogni di queste donne, ho deciso di discutere con loro le questioni in modo più approfondito. Ho scoperto che il comune denominatore è la ribellione. Ribellione contro l’oppressione e le restrizioni imposte. Un netto rifiuto delle politiche di occupazione che ostacolano l’istruzione delle detenute. Una forza interiore capace di sfidare il controllo usato nei loro confronti con l’obiettivo d’isolarle e trasformarle in donne disperate che non hanno sogni o progetti per il futuro.

Altri motivi includono la resistenza contro il piano di cancellare l’identità e la storia palestinese. Queste donne vogliono anche staccarsi da professioni stereotipate e di genere che la società riserva alle donne. Ecco perché hanno scelto studi universitari in turismo, letteratura, sociologia e teoria critica.

Per quanto riguarda la seconda sessione di lingua araba, ci siamo concentrati sulle autobiografie e abbiamo lavorato sui diversi metodi di stesura delle autobiografie. Le donne detenute sono state divise in gruppi che hanno discusso varie biografie, tra queste quella della leader laburista e femminista boliviana Domitila Chúngara, Chiedo la parola!, che parla delle esperienze e delle lotte dei minatori in Bolivia.

Inoltre, abbiamo studiato biografie e autobiografie di scrittori arabi affermati, come Al-Ayyam di Taha Hussein e I Was Born There, I Was Born Here di Mourid Barghouti.

La sessione includeva anche l’analisi di testi letterari come Uncertainty of the Returned del poeta palestinese Mahmoud Darwish, un discorso tenuto da Darwish alla Birzeit University, in occasione della celebrazione della liberazione nel 2000 del Libano meridionale.

Le lezioni, le presentazioni e le discussioni hanno arricchito le conoscenze delle detenute e le hanno incoraggiate a continuare a leggere libri e romanzi. Stiamo trasformando la prigione in una scuola di cultura, dove i prigionieri vengono a conoscere altre esperienze e dove demoliamo il tentativo dell’occupazione di isolarci dal resto del mondo.

In conclusione, la nostra lotta di liberazione all’interno delle carceri inizia con la salvaguardia della letteratura di resistenza. Stiamo trasmettendo le nostre voci e le nostre storie, sebbene le scriviamo in circostanze molto difficili. Quando veniamo catturate, il prezzo che paghiamo a volte è molto alto, soprattutto se la nostra punizione è l’isolamento o il divieto delle visite familiari.

Ne è un esempio il prezzo pagato dal detenuto Waleed Daqa, messo in isolamento per aver fatto passare il suo romanzo fuori della prigione, in modo che potesse essere pubblicato. Questa è un’altra sfida che dobbiamo affrontare nel quadro delle “Due Volontà”, la Volontà dei combattenti per la libertà e quella dei colonizzatori, come dichiara in Chiedo la parola!  la combattente per la libertà Domitila Chúngara.

Noi, donne prigioniere palestinesi, diciamo anche “lasciateci parlare… lasciateci sognare… lasciateci libere!”

Grazie per avermi ascoltato e per avermi dato l’opportunità di partecipare a questa conferenza.

Khalida Jarrar

Prigioniera politica, Prigione di Damon

17 Ottobre 2020.