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Ci sono un paio di episodi che servono a far comprendere l’odio per il colonialismo di Gheddafi e il suo oltanzismo nel richiedere la riparazione dei danni di guerra provocati dall’Italia. Il primo lo riguarda direttamente: è l’esplosione di un residuato bellico, una mina – quasi sicuramente italiana – a Sirte che uccise due suoi fratelli e lo ferì gravemente. Il secondo – più recente – è del 2003 – avvenne quando Gheddafi mostrò a un Berlusconi, molto impacciato, le foto di insorti libici impiccati dai conquistatori italiani.
La questione dei danni di guerra si trascina da decine di anni e sembra aver trovato soluzione solo con l’entrata in vigore del «Trattato di amicizia e collaborazione» firmato il 30 agosto del 2008, preparato dal governo Prodi. Con il Trattato l’Italia si è impegnata a pagare 5 miliardi di dollari in 25 anni come risarcimento per il passato coloniale. E a costruire una autostrada da Bengasi a Tripoli, con possibile prolungamento fino all’Egitto e alla Tunisia: una buona occasione di lavoro per le molte imprese italiane che operano nel settore delle infrastrutture. Gli stessi accordi prevedevano per l’Eni (i cui primi contatti con la Libia furono avviati da Mattei nel 1957) un prolungamento delle concessioni in Libia per altri 25 anni.

continua…