Storie di vita dalla Palestina occupata_4

Storie di vita dalla Palestina occupata 4

Mutaz Sharawneh: intervista alla madre

(a cura dell’Associazione Amicizia Sardegna Palestina)

La mamma di Mutaz ci accoglie sulla porta, ci accompagna fino all’ampia sala ripetendo ad ogni passo che siamo i benvenuti. Ci accomodiamo, e mentre il più piccolo dei suoi nove figli versa il te, lei comincia a raccontare.

Era una sera d’estate, Mutaz rientrava a casa col nipote, suo coetaneo, ed altri amici. C’era una sassaiola fra ragazzini e soldati. I fratelli ci spiegano che in questa zona di Dura, un villaggio di Hebron, capita spesso. Dicono che i soldati più giovani vengono di solito mandati da queste parti, per poter “fare pratica”.

Mutaz ha aspettato che lo scontro finisse, stava tornando dalla festa di un matrimonio, era ormai l’una di notte. Quando ha pensato che la situazione si fosse calmata, ha proseguito verso casa. Ma i soldati hanno ricominciato a sparare, un proiettile lo ha colpito alla schiena atterrandolo. Il nipote tenta di prestargli soccorso cercando di metterlo a riparo, ma prima di riuscire a fare qualsiasi cosa, quelli gli sono già addosso. Mutaz non riesce a muoversi, gli grida di andarsene. Lui scappa più veloce che può. Mutaz rimane con i soldati: lo picchiano col manganello, lo prendono a calci. Per un’ora si accaniscono sul suo corpo bloccato contro il pavimento, impedendogli di muoversi. Quando il fratello arriva per soccorrerlo è già troppo tardi, fa in tempo a vederlo respirare un ultima volta. È lui che ci mostra le fotografie sul suo cellulare: i segni dei calci sul corpo del ragazzo, lividi scuri che hanno la forma delle suole degli scarponi militari.

Mutaz Sharawneh muore la sera del 2 luglio 2013. Muore a 19 anni, perché è capitato in mezzo ad un’esercitazione di giovani soldati israeliani che imparavano come ci si comporta con i palestinesi.

Di lui rimane una foto grande all’angolo della sala, sotto le bandiere di Fatah, e una targa con la sua data di morte nel punto esatto in cui è stato ucciso. Rimane il dolore della famiglia che ha fatto aprire un caso sull’accaduto, almeno per dare ai suoi assassini un nome, ma non è facile, ci dicono, perché i soldati in questa zona cambiano spesso, ogni due o tre mesi ne mandano di nuovi per esercitarsi.

Teresa Batista