COLONIE: USA SVENDONO DIRITTO INTERNAZIONALE

Obama offre tutto e di più a Israele, dalle armi allo stop alle risoluzioni Onu. In cambio vuole solo uno stop di tre mesi alle costruzioni nelle colonie, vietate dalle leggi internazionali, limitato solo alla Cisgiordania

ANALISI DI MARIO CORRENTI

Gerusalemme, 15 novembre 2010, Nena News – Barack Obama omaggia il primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, intenzionato, pare, a congelare le nuove costruzioni negli insediamenti colonici in Cisgiordania. «È promettente» ha commentato Obama. «È il segnale che (Netanyahu) è serio, e mi fido» ha aggiunto. «Riconosco al primo ministro Netanyahu di aver fatto, credo, un passo molto costruttivo». Parole, quelle del presidente americano, che non possono non destare perplessità, se non addirittura sconcerto, se si considera che il governo israeliano non ha ancora accettato un’offerta americana che è riduttivo definire «generosa» di fronte ad una richiesta di congelamento di appena tre mesi delle nuove costruzioni nelle colonie ebraiche. Solo in Cisgiordania peraltro e non anche a Gerusalemme Est, parte integrante dei territori palestinesi occupati da Israele nel 1967.

Di ritorno da una visita di cinque giorni a Washington, dove ha incontrato il vicepresidente Usa Joe Biden e il segretario di stato Hillary Clinton, Netanyahu ieri ha messo sul tavolo del governo di Gerusalemme la proposta di Washington sulla moratoria dell’edilizia nelle colonie. Si tratta di un pacchetto eccezionalmente favorevole agli interessi israeliani. In cambio di un «congelamento» di appena 90 giorni delle nuove costruzioni negli insediamenti – del tutto illegali secondo le risoluzioni internazionali – Obama e Clinton garantiscono a Netanyahu carta bianca sul piano legale. Gli Stati Uniti infatti si impegnano a porre il loro veto su qualsiasi risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’Onu relativa a crimini di guerra commessi da Israele, a partire dal rapporto della Commissione Goldstone sull’offensiva «Piombio fuso» a Gaza fino al procedimento in corso per l’attacco israeliano alle navi della Freedom Flotilla dello scorso 31 maggio in acque internazionali. Oltre a ciò promettono di non chiedere ulteriori «moratorie» sulle costruzioni nelle colonie e al termine dei 90 giorni richiesti e di bloccare qualsiasi tentativo palestinese di dichiarare unilateralmente l’indipendenza alle Nazioni Unite. Offrono inoltre un’ancor più stretta collaborazione in termine di sicurezza fornendo a Israele 20 aerei da combattimento F-35 – i più avanzati al mondo- con un valore di ben tre miliardi di dollari. Un «regalo» che si aggiungerebbe ai tre miliardi di dollari che annualmente Washington garantisce a Tel Aviv.

Per intransigenza ideologica o forse solo per dare vita ad un gioco delle parti finalizzato a dare all’esterno l’immagine di un premier «pacifista» in lotta contro l’estrema destra presente nel governo, incredibilmente almeno cinque ministri del Likud (il partito di Netanyahu), tra cui i due vicepremier Moshe Yaalon e Silvan Shalon, hanno espresso una netta opposizione alla proposta Usa che pure svende la legalità internazionale a totale vantaggio di Israele. «Quel che è in gioco – ha obiettato Shalom – non è un congelamento di tre mesi (degli insediamenti), ma l’inizio dei negoziati sui confini di uno Stato palestinese».  Secondo Eli Yishai, capo del partito ultraortodosso Shas, è necessaria «una lettera del presidente degli Stati Uniti in cui afferma che si può procedere alle costruzioni a Gerusalemme Est e che, scaduti i 90 giorni, possono esservi costruzioni illimitate ovunque». Scontata la contrarietà del ministro degli esteri e leader del partito razzista anti-arabo Avigdor Lieberman, mentre i coloni sono sul piede di guerra e affermano che la proposta Usa «è una trappola in cui Israele non deve cadere».

Di fronte alla demolizione delle leggi internazionali garantita dai futuri veti statunitensi, obiettano per una volta anche i compiacenti dirigenti dell’Autorità nazionale palestinese, che si dicono contrari a un congelamento delle costruzioni che esclude dalla moratoria Gerusalemme Est. Il capo negoziatore Saeb Erekat afferma che i palestinesi chiedeno uno stop totale all’espansione delle colonie ebraiche nei Territori occupati come precondizione per i negoziati diretti con Israele, di cui si è avuta finora una sola sessione a inizio settembre. I palestinesi hanno chiesto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu proprio ma a questo punto sono schiacciati e paralizzati dal peso delle conseguenze dell’offerta americana a Israele. Nena News