La paura di Israele di Gianfranca Fois
Israele ha sempre investito molto nella comunicazione, ha fatto di tutto, senza nulla tralasciare, perché nel mondo passasse la sua narrazione della storia e delle condizioni dello stato di Israele e dei territori palestinesi.
Nonostante ciò in questi ultimi anni si è diffusa la conoscenza e la consapevolezza di quanto veramente accade in quei luoghi, l’oppressione esercitata sul popolo palestinese, l’occupazione dei territori, la violenza e la negazione dei diritti.
Di fronte a ciò la classe dirigente israeliana sta cercando di correre ai ripari, è riuscita a farsi eleggere a capo della VI commissione ONU, ha iniziato una dura opposizione al BDS sia attraverso denunce sia attraverso la propaganda.
Non contenta di ciò sta ricorrendo ad un nuovo subdolo stratagemma: alcuni studenti universitari israeliani hanno fondato il sito boycott-israel.net ritenendo così di poter intercettare quanti, attraverso il nome, pensano di accedere a un sito che lavora per il Movimento BDS.
Nella Home i giovani dicono chiaramente chi sono e sostengono di voler fornire una informazione oggettiva, anche se non fully objective
Lo slogan è “it’s complicated” e perciò si utilizza un linguaggio semplice e piano per articoli brevi a favore di Israele.
Ecco ad esempio come viene presentato il problema dell’acqua. In pochissime righe il sito spiega che il costo dell’acqua, fornita dalla società israeliana Mekorot secondo gli accordi di Oslo, a metro cubo è di c.075per i Palestinesi e di 1 dollaro e 3 c. per gli Israeliani. Non una parola di più.
Niente sul fatto che Israele controlla l’83% dell’acqua dei Palestinesi, cui a fronte dei 75 litri a persona stimati necessari dall’ONU ne fornisce, soprattutto nei mesi estivi, soltanto 60 (e spesso non in modo continuativo) e 365 agli Israeliani. A questo si aggiungono le restrizioni imposte per la costruzione e la profondità dei pozzi.
Il governo israeliano nega l’accesso fisico dei Palestinesi al fiume Giordano, unica acqua di superficie. La deviazione e lo sfruttamento di questo fiume ha portato al prosciugamento di laghi con gravissime conseguenze per l’economia del territorio. Dalla carenza d’acqua derivano naturalmente ripercussioni anche sulla salute e sull’agricoltura e quindi sull’intera economia dei Palestinesi. Senza parlare della situazione di Gaza, ancora più grave.
Gli accordi di Oslo del 1995, citati nell’articolo del sito, prevedevano delle norme sull’acqua che dovevano essere transitorie e non superare i 5 anni, ma che però durano ancora. Delle fonti idriche montane Israele ne controlla il 70%, solo il 17% è destinato ai Palestinesi, tutto il resto va agli (illegali) insediamenti coloniali. Manca quindi un’equa condivisione delle risorse idriche.
Questa situazione ha spinto nel settembre dello scorso anno diverse organizzazioni a inviare alla comunità internazionale un appello per chiedere che venga salvaguardato il diritto fondamentale dei Palestinesi all’accesso all’acqua.
Al danno si unisce la beffa: i Palestinesi sono costretti a comprare l’acqua israeliana.
E’ il solito modo di procedere di Israele, capovolge la realtà e la propaganda presentandosi dalla parte della ragione. Avviene anche per le case: le case dei Palestinesi vengono spesso requisite o abbattute, è difficilissimo ottenere il permesso per poterle costruire e le poche volte che succede Israele è pronto ad attribuirsene il merito.
E allora, in questa realtà capovolta il sito può intitolare l’articolo: Israel supplies water to the Palestinians. Israele fornisce l’acqua ai Palestinesi.