Due

Uno stato Palestinese separato da quello Israeliano o un unico stato, democratico e laico, per tutte le persone che vivono in Palestina – come da programma originario dell’OLP? Proponiamo gli interventi di due intellettuali israeliani pubblicati di recente dal Manifesto.

 

1. Il letto di Sodoma. L’illusione «Sudafrica»

di Uri Avnery *

su Il Manifesto del 04/07/2007

Nella sinistra radicale c’è la tendenza a costringere il conflitto tra Israele e i palestinesi nel «letto» adattabile ad ogni misura della leggenda ebraica. Così si commette l’errore di vedere la soluzione nello «stato unico», vista la somiglianza con l’ex regime dell’apartheid in Africa

Secondo la leggenda ebraica, il letto di Sodoma è un simbolo del male. La Bibbia narra come Dio decise di distruggere Sodoma per la cattiveria dei suoi abitanti ( Genesi, 18 ). La leggenda ci dà un esempio di tanta cattiveria: il letto speciale per i visitatori. Quando uno straniero arrivava a Sodoma, veniva messo in questo letto. Se era troppo alto, gli venivano accorciate le gambe. Se era troppo basso, i suoi arti venivano stirati fino alla misura giusta… …Ultimamente, si è imposto un nuovo letto di Sodoma: il Sudafrica. In alcuni circoli della sinistra radicale c’è la tendenza a costringere ogni conflitto in questo letto. Ogni nuovo caso di cattiveria e oppressione nel mondo è visto come una nuova versione del regime dell’apartheid, e si decide di conseguenza come risolvere il problema e cosa fare per raggiungere lo scopo desiderato… Naturalmente, c’è sempre una somiglianza superficiale tra diversi regimi oppressivi. Ma se non siamo disposti a vedere le differenze tra le malattie, rischiamo di prescrivere le medicine sbagliate – e di uccidere il paziente. Questo è ciò che sta accadendo qui. È facile mettere il conflitto israelo-palestinese nel letto del Sudafrica, poiché le somiglianze tra i sintomi sono evidenti. L’occupazione israeliana dei territori palestinesi va avanti ormai da quarant’anni, e sono passati quasi sessant’anni dalla Naqba – il conflitto armato del 1948 in cui nacque lo stato di Israele e in cui più della metà dei palestinesi persero le proprie case e le proprie terre. Le relazioni tra i coloni e i palestinesi ricordano per molti aspetti l’apartheid; ed anche nello stato di Israele vero e proprio, i cittadini arabi sono lontani da una vera eguaglianza. Secondo alcuni dobbiamo imparare dal Sudafrica che non c’è niente da guadagnare a fare appello alle coscienze della popolazione dominante… Perciò, la redenzione potrebbe venire solo dall’esterno. Ed effettivamente l’opinione pubblica mondiale ha visto l’ingiustizia dell’apartheid e ha imposto al Sudafrica un boicottaggio a livello mondiale, finché la minoranza bianca è capitolata… Se questo è successo in Sudafrica, dicono i fautori di questa strategia, deve accadere anche qui: l’idea di istituire uno stato palestinese vicino allo stato di Israele (la soluzione «due popoli, due stati») andrebbe scartata, e l’obiettivo dovrebbe diventare un solo stato che si estenda tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano. Questo obbiettivo andrebbe raggiunto con l’arma decisiva che ha dato prova di sé in Sudafrica: il boicottaggio. Recentemente ho ascoltato una lezione del professor Ilan Pappe dell’Università di Haifa, uno dei più importanti fautori di questa idea… Ma a differenza del professor Pappe, sono convinto che sia possibile cambiare la direzione storica di Israele. Sono convinto che questo sia il vero campo di battaglia per le forze di pace israeliane, e io stesso sono impegnato in questo compito da decenni. Inoltre, a mio parere, abbiamo già ottenuto risultati impressionanti: il riconoscimento dell’esistenza del popolo palestinese è ormai generalizzato, ed altrettanto generalizzata è diventata la disponibilità di moltissimi israeliani ad accettare l’idea di uno stato palestinese con Gerusalemme capitale di entrambi gli stati. Abbiamo costretto il nostro governo a riconoscere l’Olp, e lo costringeremo a riconoscere Hamas… Inoltre, in Israele e in altri paesi ultimamente si è fatta strada l’idea che sarà possibile raggiungere la pace solo se riusciremo a colmare il divario tra la narrazione storica israeliana e quella palestinese, e ad integrarle in un unica narrazione storica che riconosca le ingiustizie commesse e quelle ancora in corso… ma non siamo riusciti a porre fine all’occupazione… Come cambiare la politica del governo israeliano? L’idea della soluzione «con un solo stato» danneggerà molto questo sforzo. Essa lo allontana da una soluzione che oggi, dopo molti anni, gode di un ampio consenso pubblico, a favore di una soluzione che non ha alcuna chance . Senza dubbio il 99,99% degli israeliani ebrei vogliano che lo stato di Israele esista come stato con una robusta maggioranza ebraica, quali che siano i suoi confini. La convinzione che un boicottaggio a livello mondiale possa cambiare questo stato di cose è una totale illusione. La soluzione con due stati era ed è ad oggi l’unica soluzione. Quando la avanzammo, immediatamente dopo la guerra del 1948, ci si poteva contare sulle dita di due mani, non solo in Israele ma in tutto il mondo. Oggi esiste su questa soluzione un consenso mondiale. Il cammino per giungere ad essa non è facile: lungo la strada si annidano molti pericoli, ma è una soluzione realistica che può essere raggiunta. Io credo che in Israele le persone giuste siano molte, molte più di dieci. Tutti i sondaggi d’opinione dimostrano che la grande maggioranza degli israeliani non solo vuole la pace, ma è già pronta a pagare un prezzo per essa. Gli israeliani però hanno paura. Mancano di fiducia. Sono bloccati dai convincimenti che hanno acquisito sin dalla loro infanzia. Devono esserne liberati – e sono convinto che questo possa essere fatto.

* pacifista israeliano (Traduz. Marina Impallomeni)

 

2. Perché un solo stato. Risposta a Uri Avnery

di Ilan Pappe *

su Il Manifesto del 04/07/2007

Un cinico mezzo Sharon e Bush si sono detti fedeli alla soluzione con due stati, e questa per Israele è diventata l’arma dell’occupazione

Uri Avnery accusa i sostenitori della soluzione «con un solo stato» di adagiare i fatti a forza sul letto di Sodoma. Ma in questo caso potremmo parlare di una piccola branda di Sodoma se paragonata al gigantesco letto matrimoniale su cui la sinistra israeliana si ostina a stendere la soluzione dei due stati. Il modello sudafricano è ancora – lo si è cominciato a prendere in considerazione seriamente da un anno – la soluzione dei due stati ha compiuto sessant’anni: una visione rischiosa e prematura che ha permesso ad Israele di prolungare l’occupazione senza doversi preoccupare delle critiche della comunità internazionale. Il modello sudafricano si presta bene per un’analisi comparata, non come oggetto di vacua emulazione. Alcuni capitoli della colonizzazione sudafricana coincidono effettivamente con episodi della colonizzazione sionista in Palestina. La struttura di dominazione dei coloni bianchi in Sudafrica assomiglia molto a quella applicata sin dalla fine del XIX secolo dal movimento sionista e poi da Israele contro la popolazione palestinese indigena. Il modello sudafricano si propone come guida in due direzioni cruciali per tutti coloro che abbiano a cuore il destino della Palestina: innanzitutto offre un nuovo orientamento per l’individuazione di una nuova soluzione che permetta di accantonare la soluzione dei due stati- quella di un unico stato democratico – e rinforza le speranze che un giorno l’occupazione israeliana possa essere sconfitta – attraverso l’opzione BDS, «Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni». I fatti parlano da sè: la soluzione dei due stati ha tristemente fallito e non abbiamo troppo tempo da sprecare dietro ad una futile ripresa di altri vani collocqui diplomatici che non porterebbero da nessuna parte. Avnery ignora questi fatti e insinua che la soluzione con un solo stato sia una panacea forse fatale per il paziente malato. E’ difficle comprendere perchè Avnery si permetta di sottovalutare l’opinione pubblica mondiale. Senza il sostegno dell’opinione pubblica al movimento sionista, la Nakba non si sarebbe mai verificata. Dopo il rifiuto da parte della comunità internazionale dell’ipotesi di spartizione, uno stato unitario avrebbe dovuto sostituire il protettorato palestinese, come auspicato da parte di alcuni membri dell’Onu. Tuttavia questi membri dovettero ritirare il proprio sostegno a questa soluzione di fronte alla forte pressione degli Stati Uniti e della lobby sionista. E oggi, se la comunità internazionale dovesse mutare nuovamente avviso e aggiustare la propria disposizione nei confronti di Israele, le probabilità di una fine dell’occupazione sarebbero molto più alte, cosa che potrebbe evitare un incredibile spargimento di sangue sia per i palestinesi che per gli stessi israeliani. L’appello per la soluzione «con un solo stato», insieme alla richiesta di sanzioni, boicottaggio e disinvestimento è la comprensibile reazione al fallimento del piano antecedente. Avnery ha ragione quando afferma che «senza dubbio il 99.99% dei cittadini israeliani concepisce lo stato israeliano unicamente come uno stato a robusta maggioranza ebraica, a prescindere dai confini». Una riuscita campagna di boicottaggio non riuscirebbe a modificare questa convinzione in un giorno, ma potrebbe almeno far presente a questo pubblico che ostinarsi su queste posizioni è un gesto razzista e non accettabile nel ventunesimo secolo. Senza le iniezioni occidentali di sostegno economico e culturale ad Israele, diventerebbe molto difficile per questa maggioranza silenziosa continuare a credere che sia possibile coniugare razzismo e legittimità democratica, di fronte al mondo. Dobbiamo svegliarci. Il giorno in cui Ariel Sharon e George Bush si sono dichiarati favorevoli e fedeli alla soluzione con due stati, questa è diventata un cinico mezzo che ha permesso ad Israele di conservare il proprio regime di discriminazione all’interno dei confini del 1967, l’occupazione in Cisgiordania e la ghettizzazione della Striscia di Gaza. Chiunque impedisca il dibattito sui possibili modelli politici alternativi autorizza Israele a farsi scudo della soluzione con due stati per continuare a commettere crimini in Palestina. Inoltre, non solo nei territori non ci sono più neanche le pietre per costruire questo stato dopo sei anni di distruzione delle infrastrutture da parte di Israele ma se anche si applicasse una partizione sensata i palestinesi non otterrebbero più che un misero 29% della propria terra natìa. Per la mappa 181, avrebbero diritto ad almeno metà della propria terra originaria. E’ un altro percorso utile da esplorare, invece di impantanarsi nel calderone che la soluzione a due stati ha prodotto finora. Infine, non si avrà alcuna soluzione definitiva del conflitto finché non verrà risolta la questione dei rifugiati palestinesi. Che non possono tornare in patria per gli stessi motivi che hanno cacciato i propri connazionali dalla grande Gerusalemme e oltre il Muro, e per cui i propri fratelli vengono discriminati in Israele. Non possono tornare per lo stesso motivo che espone ogni palestinese alla continua minaccia dell’occupazione e dell’espulsione, almeno fino a quando il piano sionista non sarà portato a termine secondo i voleri dei propri leader.

* storico israeliano