Clandestini, petrolio, banche e calcio. Perché Gheddafi è un “amico” Gheddafi è sempre Gheddafi. E non pago dell’escalation di polemiche e proteste che i modi della sua visita a Roma hanno suscitato nel nostro paese, si presenta a Ciampino in pizzetto, alta uniforme e foto anticoloniale in bella evidenza sul petto. Il Cavaliere, presente a dispetto di un fastidioso torcicollo, non commenta. Parla invece della «chiusura di una pagina dolorosa» nei rapporti italo-libici. Che nel tempo sono stati aspri, altalenanti, anche politicamente ruvidi. Ma che non sono mai venuti meno, tenuti in piedi dal Colonnello stesso e da un gruppo più o meno nutrito di sostenitori italiani. E oggi più che mai uno stretto intreccio di interessi e bisogni reciproci impone una chiusura anche simbolica della partita.
Immigrazione clandestina
Bloccare la rotta libica da cui arriva il grosso dei clandestini che approdano in Italia via mare è il chiodo fisso degli ultimi governi.
Da qui fin dai tempi di Pisanu ministro dell’interno (era il 2003) il tentativo di arrivare a pattugliamenti congiunti delle coste libiche, in collegamento a un trattato che chiudesse le pendenze coloniali (avviato nel ‘98 da Prodi con Dini ministro degli esteri ma mai concluso, causa frenate del Colonnello.
Nel 2007 D’Alema arriva a un passo dalla firma, ma Gheddafi alza il prezzo e tutto salta). L’accordo sui pattugliamenti arriva solo con Amato al Viminale, a fine 2007.

continua…