Si è conclusa ieri la due giorni di incontri con lo storico ebreo israeliano Ilan Pappé, autore di libri che hanno segnato una svolta nella narrazione storica della questione palestinese, in netto contrasto con la versione adottata dalla storiografia ufficiale israeliana.
Due incontri unici e irripetibili organizzati dall’Associazione L’Italia sono anche io dall’Associazione Amicizia Sardegna Palestina ( il primo si è svolto venerdì sera presso l’aula consiliare del municipio di Cagliari, e il secondo sabato mattina presso la facoltà di Scienze giuridiche, economico politiche dell’Università) durante i quali l’unica cosa che non è bastata ai presenti è stato il tempo a disposizione per approfondire il confronto col grande storico.
Molti sono stati gli spunti di riflessione che Pappé ha voluto fornire partendo da un’analisi del passato e dalla ricerca di nuovi approcci metodologici e di studio per meglio comprendere il dramma che si consuma in Palestina dal 1948.
È stata sottolineata più volte l’importanza dell’utilizzo di un nuovo linguaggio che non confonda gli “occidentali”, ma che contribuisca a indicare le cose come realmente stanno, senza usare gli inutili eufemismi che giustificano l’occupazione della Palestina e lo stato d’apartheid in atto.
Il sionismo viene finalmente etichettato come un movimento colonialista ma di un tipo nuovo e ancora più pericoloso del colonialismo ottocentesco di stampo europeo: è un colonialismo d’insediamento, che mira alla completa eliminazione dei nativi. Come afferma Pappé, ancora i sionisti non sono riusciti nella realizzazione di questo intento, ma proseguono ostinati nel voler creare due grandi bantustan: uno nella Striscia di Gaza, chiusa in un unico grande ghetto, e uno in Cisgiordania, senza alcuna connessione tra loro.
Nonostante, però, si cerchi di analizzare l’attuale situazione in Palestina con una terminologia analoga al caso dell’apartheid sudafricana bisogna sottolineare che anche uno dei più grandi leader sionisti, Ben Gurion a suo tempo affermò di essere contro la creazione di un regime come quello che aveva preso piede in Sud Africa, dove “i bianchi erano i proprietari e i neri erano i lavoratori”. Infatti, come accennato anche dal Prof. Wasim Dahmash durante il suo dialogo con Pappé, questo tipo di impostazione coloniale è da ricondurre all’importanza che riveste per i sionisti il cosiddetto “lavoro ebraico” o “Jewish labor”, in base al quale i palestinesi dovevano essere incoraggiati dalle prime comunità di sionisti a lasciare la Palestina per cercare lavoro negli altri stati arabi, come ad esempio in Iraq[1].
Non è mancata l’occasione di parlare di BDS (Boicottaggio Disinvestimento Sanzioni), la campagna lanciata dalla stragrande maggioranza delle organizzazioni della società civile palestinese nel 2005 e ispirata dal movimento contro l’apartheid in Sudafrica. Pappé non si è tirato indietro e in quanto sostenitore del movimento ne ha rivendicato l’importanza strategica in particolare a livello culturale.
Ilan ha vivamente ringraziato l’Università di Cagliari per averlo ospitato, ricordando che in diverse altre occasioni, come ad esempio a Roma, era stato oggetto di un boicottaggio da parte delle istituzioni locali; ma ha voluto ringraziare anche l’enorme numero di presenti che hanno dimostrato ancora una volta la volontà di approfondire e capire meglio la questione palestinese e la necessità di non abbandonare il popolo palestinese in un momento delicato come quello attuale.
È stata evidente l’assenza delle istituzioni, in particolare durante l’incontro di venerdì presso il Comune, che hanno perso così una grossa occasione per dimostrare non tanto il loro appoggio alla questione palestinese, quanto la capacità di confrontarsi (o scontrarsi) con i grandi nomi della cultura e della storia internazionale in una Cagliari che pretendeva il primato di città della cultura al centro del Mediterraneo.
A.M.B.
[1] Masalha, Nur, Expulsion of the Palestinians – The Concept of Transfer in Zionist Political Thought 1882 – 1948, Institute for Palestine Studies, 2009, p. 23.