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Angelo Del Boca, massimo storico dell’ avventura coloniale italiana, è lapidario: «Sostanzialmente, Gheddafi ha ragione». Professore, non crede che il colonnello stia speculando sui disordini di Bengasi? «Probabilmente sì. Ma se fossimo stati più corretti non saremmo a questo punto». Gheddafi fa riferimento a promesse reali? «Già negli accordi del ‘ 56 con re Idris il nostro Paese si obbligava a costruire un ospedale a Tripoli. Ho visto personalmente l’ Allegato B che stabiliva questo impegno. Nell’ 84 anche Andreotti, allora ministro degli Esteri, ha rinnovato la promessa. Ma la Libia voleva una struttura con 1200 letti, mentre noi ne offrivamo cento». L’ Italia non ha mantenuto la parola data? «C’ eravamo impegnati anche a sminare la Marmarica, al confine con l’ Egitto, piena di ordigni inglesi, tedeschi ma anche italiani. Non se ne è fatto nulla. L’ unica promessa mantenuta è stata quella di ricostruire la vicenda dei prigionieri libici ai tempi di Giolitti. Ho fatto parte anch’ io di una commissione che ha appurato il destino di questi 4000, deportati dopo la battaglia di Sciara Sciat. Ne sono venuti fuori tre volumi di dati: poca cosa, ma con un’ importanza morale». In tempi più recenti si è riparlato degli impegni italiani? «Anche Berlusconi, quando è andato in visita, ha rinnovato la promessa. Si parlava di un ospedale da 63 mila euro, ma Gheddafi ha rilanciato, chiedendo la costruzione dell’ autostrada litoranea dalla Tunisia all’ Egitto. Sono 1700 chilometri, sulla traccia della via costruita da Italo Balbo. A questo punto il conto sarebbe arrivato a tre miliardi di euro, e Berlusconi è rimasto gelato». E i beni sequestrati agli italiani? «è vero, nel 1970 il regime ha espulso 20 mila nostri connazionali e incamerato terreni e immobili per duemila miliardi di lire. Gheddafi sostiene: era roba nostra. Ma questo può valere per le terre: alberghi, cinema, aziende erano invece il frutto del lavoro di persone che hanno trasferito lì intelligenza e capacità italiane. Ma nessuno dei nostri politici si è mai seduto a un tavolo con il colonnello per dire: facciamo una stima, trattiamo. E poi, soprattutto, nessuno ha mai chiesto scusa in sede ufficiale». Ma questi conti in sospeso giustificano l’ ostilità emersa a Bengasi? «Ricordiamoci che siamo stati protagonisti di un’ occupazione sanguinosa, con 100 mila morti. Insomma, un libico su otto ha perso la vita per difendere il suo Paese dagli italiani. Solo vedendo queste cifre si può spiegare la rabbia libica». – GIAMPAOLO CADALANU