Apprendiamo che il “Theandric Teatro Nonviolento” organizza a Cagliari in questi giorni un festival dal titolo accattivante “Love Sharing” (festival di Teatro e cultura nonviolenta). Con molta sorpresa, e poi indignazione, troviamo tra gli sponsor del festival l’ambasciata israeliana. Ci chiediamo e chiediamo agli organizzatori come ciò sia possibile: come si può parlare di cultura nonviolenta e di pace con il contributo di Israele? Come è possibile conciliare la violenza perpetrata dall’occupazione israeliana nei confronti dei palestinesi con la cultura nonviolenta?
Gli organizzatori sono a conoscenza del fatto che lo stato di Israele è stato condannato molte volte dalle Nazioni Unite e dalla Corte internazionale per crimini di guerra? Sanno che Israele occupa la Palestina e ha cacciato via con le armi una grande parte di suoi abitanti?
Sanno che i prigionieri politici palestinesi vengono torturati sistematicamente e che, attualmente, nelle carceri israeliane ci sono più di 7 mila prigionieri politici e tra di loro più di 300 bambini e 200 donne? E tra questi più di 400 sono in detenzione amministrativa, cioè senza capo d’accusa e senza processo? Sanno quante case palestinesi vengono demolite tutti i giorni?
Non è la prima volta in Italia che Israele strumentalizza la cultura e lo sport per fare propaganda, per cercare di mascherare lo stato di apartheid in cui vivono i palestinesi. L’indignazione è ancora più forte, dal momento che singoli e organizzazioni, magari per leggerezza, o forse per qualche sovvenzione in più, scelgono di calpestare quegli stessi valori che hanno abbracciato e vorrebbero divulgare.
Vediamo una contraddizione in un evento che parla di cultura della pace e di nonviolenza, di ciò che “spinge gli individui a creare legami duraturi e vivere insieme, riconoscendosi come un’entità unica…” ma poi accetta la sponsorizzazione dell’ambasciata di uno dei paesi più violenti al mondo.
Come se non bastasse, gli organizzatori non si limitano a prendere i contributi dell’ambasciata di Israele ma organizzano l’evento a sostegno della propaganda israeliana, celebrando i suoi crimini, con un’iniziativa dal titolo sempre accattivante e, apparentemente, innocente: “Immaginare vita e lavoro gestiti in maniera collettiva: l’esperienza innovativa del Kibbutz”.
L’esperienza innovativa di chi ha massacrato e cacciato gli indigeni occupando e colonizzando la loro terra, l’esperienza di vita collettiva del Kibbutz, che si fonda sulla negazione della “vita e lavoro collettivi” ai palestinesi, in favore di chi è “tornato” nella “terra promessa” e a danno di chi già viveva lì, che da 71 anni lotta contro una violenta occupazione per tornare ad avere la vita dignitosa che dovrebbe spettare ad ogni essere umano.