Rassegna stampa

Mercoledi, 17 marzo 2010

Gli Usa definiscono incrollabile il legame con Israele. aljazeera.net

Dopo il più grosso momento di frizione degli ultimi anni seguito all’annuncio israeliano della costruzione di 1600 abitazioni per coloni, gli Usa hanno ribadito il legame incrollabile e preferenzialeche li unisce a Israele.

Martedi da Washington il segretario di stato nordamericano Hillary Clinton ha dichiarato: “Il nostro impegno primario è diretto alla sicurezza di Israele. Un legame stretto e incrollabile lega Usa e Israele”.

Il tono del suo intervento appare molto più morbido rispetto ai giorni che hanno seguito l’annuncio israeliano del via libera alla costruzione di nuovi insediamenti ebraici a Gerusalemme est che ha scatenato le ire palestinesi e messo a rischio il recente accordo per i colloqui indiretti.

Il portavoce della Casa Bianca Robert Gibbs ha ripreso il tono conciliante della Clinton affermando: “Una matura relazione bilaterale può attraversare momenti di disaccordo, e questo è uno di quelli, ma ciò non mette comunque in questione l’inscindibile legame tra i due stati”.

La casa Bianca era stata criticata da legislatori statunitensi e dalle lobby pro-israeliane per la sua dura presa di posizione verso Israele, e questa, secondo alcuni analisti politici, sarebbe la vera ragione dei toni morbidi adottati martedi.

Andare avanti

La settimana scorsa la Clinton aveva definito l’annuncio di Israele, in coincidenza della visita del vicepresidente Usa Joe Biden, “un insulto per gli Stati Uniti”.

Nella giornata di martedi, ha invece dichiarato che Usa e Israele “condividono valori comuni e l’impegno per un futuro democratico nel mondo, ed entrambi si spendono per la soluzione dei due-stati”.

Clinton ha dichiarato che, nonostante gli Usa abbiano espresso “sconcerto e disappunto” per l’annuncio israeliano, è ora il momento di andare avanti: “Penso che nei prossimi giorni fisseremo un incontro con Mitchell e penseremo ad una nuova missione nella regione per iniziare i colloqui”.

D’altra parte Clinton ha continuato a sollecitare Israele affinchè dimostri di essere seriamente intenzionato alla pace con i palestinesi.

Siamo impegnati in fitte consultazioni con gli israeliani sui passi che noi pensiamo dovrebbero muovere in direzione del processo di pace” ha dichiarato la Clinton a margine di un incontro col ministro degli esteri irlandese.

Mark Regev, un portavoce del governo israeliano ha affermato: “Israele apprezza e tiene in considerazione le calde parole del segretario di stato Clinton sul legame tra Usa e Israele e sull’impegno Usa per la sicurezza di Israele. A proposito dell’impegno per la pace; il governo israeliano lo ha dimostrato nel corso di tutti questi anni, con le parole e con i fatti”.

Preoccupazioni “delineate”

P.J. Crowley, portavoce del Dipartimento di stato della Clinton, ha dichiarato ad Al Jazeera che gli Usa “hanno delineato alcune preoccupazioni agli israeliani” dai quali attendono ora un gesto di risposta: “Siamo in attesa di una risposta da parte israeliana. Da quello che ci verrà detto valuteremo il livello di impegno di Israele di andare avanti. Ciò che stiamo dicendo sia ai palestinesi che agli israeliani è: avete detto di essere pronti ad andare avanti, adesso noi abbiamo bisogno di fatti concreti da entrambi che ci consentano di metterci all’opera”.

Mitchell, l’inviato nordamericano per il Medio Oriente, appena la settimana scorsa aveva annunciato che israeliani e palestinesi avevano accettato di prendere parte a colloqui indiretti che, nelle intenzioni Usa, avrebbero dovuto condurre ad una ripresa dei negoziati indiretti sospesi più di un anno fa.

Ma l’annuncio israeliano sugli insediamenti aveva tagliato alla radice il progetto l’indomani e Mitchell, nella giornata di martedi, per l’ennesima volta aveva dovuto rinviare il ritorno nella regione programmato da tempo.

Prima di riprendere il dialogo, i palestinesi hanno richiesto che Israeli blocchi  il piano di costruzione di 1600 nuove unità abitative a Ramat Shlomo, un insediamento ebraico sul territorio cisgiordanio annesso a Gerusalemme da Israele, incontrando il rifiuto israeliano.

Crowley ha dichiarato che Mitchell spera ancora di incontrare funzionari israeliani e palestinesi “al più presto possibile”, ma ciò non avverrà certamente prima dell’incontro dei mediatori di pace per il Medio Oriente in programma giovedi e venerdi prossimi a Mosca.

 

Domenica,  14 Marzo, 2010

Israele estende il blocco in Cisgiordania. aljazeera.net

Israele ha imposto il blocco sui Territori occupati della Cisgiordania e ha ristretto l’accesso alla moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme per il perdurare delle tensioni seguite al piano di Israele di costruire nuovi insediamenti colonici nella zona est della città a maggioranza araba.

Un portavoce dell’esercito ha dichiarato che il blocco, che sarebbe dovuto terminare sabato notte, è stato prorogato, per il continuo rischio di attacchi, fino alla mezzanotte di martedi.

I militari hanno detto che il passaggio sarebbe stato consentito, previa autorizzazione di Israele, solo per ragioni umanitarie, al personale medico, ai pazienti, a religiosi, insegnanti e ad altri professionisti.

La polizia ha reso noto che domenica l’accesso alla moschea di Al-Aqsa sarebbe stato interdetto agli uomini sotto i 50 anni per timore di violenze.

Micky Rosenfeld, un portavoce israeliano, ha dichiarato che le donne musulmane non sarebbero state interessate dal provvedimento che invece “sarebbe stato applicato ai visitatori appartenenti ad altre religioni”.

Considerato il perdurare delle tensioni i dispiegamenti di polizia intorno a Gerusalemme est saranno mantenuti.

 

“Tensione crescente”

Il corrispondente di Al Jazeera dalla Cisgiordania, Nour Odeh, ha dichiarato che l’estensione del blocco avrà come unico risultato un aumento della frustrazione che porterà a nuovi scontri: “Questo blocco porta la tensione in superficie, più soldati per le strade generano maggior tensione.”

Sabato militari israeliani si sono scontrati in Cisgiordania con donne e giovani palestinesi che manifestavano contro il nuovo piano di insediamenti.

La polizia ha dichiarato che due israeliani sono stati leggermente feriti nella notte di sabato quando una molotov è stata scagliata su una macchina nell’autostrada che da Gerusalemme conduce a Tel Aviv.

Le restrizioni sono entrate in vigore il 5 marzo quando la polizia si è scontrata con manifestanti islamici alla moschea dopo la preghiera settimanale. Gli scontri erano scoppiati la settimana scorsa dopo che Binyamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, aveva annunciato il piano di includere due siti cisgiordani nel patrimonio di Israele.

L’annuncio della costruzione di 1600 nuove unità abitative ebraiche a Gerusalemme est era stato dato dal Ministero degli interni e aveva incrementato la tensione.

Israele occupò Gerusalemme est dopo la guerra del ’67 contro i paesi arabi e da allora costruisce insediamenti colonici, considerati illegali dal diritto internazionale.

 

Sabato,  13  Marzo, 2010


Una volta la giustizia abitava a Gerusalemme, adesso la fanno i coloni. haaretz.com

La più grande, unificata Gerusalemme è stata fatta a pezzi. La capitale israeliana – ebrea e araba – è diventata la capitale di pericolosi e allucinati fanatici. Questa non è la città di tutti i suoi abitanti, né la capitale di tutti i suoi cittadini. È una città triste che appartiene ai suoi coloni, ai suoi Ultra-Ortodossi, ai suoi abitanti violenti e ai suoi messia.

Il profeta ha chiesto: “Come ha fatto la città della fede a diventare una meretrice! Lei che era abitata dalla giustizia, e adesso dagli assassini!” (Isaiah 1:21). Qui ancora non ci sono stati  omicidi, ma l’anima della nazione sta morendo ogni giorno davanti ai nostri occhi. Lo spirito israeliano della giustizia è stato calpestato da politici, coloni e giudici. L’anima della nazione è stata assassinata con gli eccessi di burocrazia e l’indifferenza.   

Sì, la capitale del popolo ebraico –  quel popolo che ha sempre giurato di non fare agli altri ciò che non avrebbe voluto facessero a lui – è diventata una meretrice. Moralmente lasciva, emotivamente svenduta. È manipolata dai suoi pastori per i loro stessi benefici ed è piena di leggi – tutti fanno causa a tutti, nascondendosi dietro il diritto dell’ingiustizia. E i giudici – come se fossero costretti – emettono sentenze in conformità con leggi discriminatorie, unicamente per il “popolo eletto”. Una volta la giustizia abitava qui. Adesso la fanno i coloni, assassini dell’anima della nazione.

E nessuno dice una parola, eccetto pochi patrioti. Il popolo della verità e della morale, che si rifiuta di stare a guardare mentre lo Stato dei rifugiati ebrei ripetutamente getta famiglie palestinesi sulla strada e consegna le loro povere case a delinquenti barbuti e bestemmiatori.

Queste persone integre sono la sinistra di Gerusalemme, che è passata attraverso innumerevoli scontri con la folle “sindrome di Gerusalemme”. Conoscono fin troppo bene la minacciosa verità della città, i suoi terribili adolescenti, e non si volteranno più dall’altra parte. Si sono impegnati a fermare con i loro corpi gli energumeni tedofori che cercano di appicare il fuoco.

Al momento, nessuno guida la città, né la salvezza per lei arriverà dal leader eletto del paese. Il caso di Sheikh Jarrah è oltre la conoscenza del sindaco Nir Barkat e del primo ministro Benjamin Netanyauh, come se le agitazioni non fossero affare loro, come se stessero accadendo in Sudan o a Teheran. E in mancanza di una leadership dello Stato, e di una coalizione per la pace, i nostri figli se ne sono assunti la responsabilità, scrollandosi via di dosso l’indifferenza e la disperazione, e ci hanno portati qui. Il cerchio si sta allargando, ed è pieno di vita, rabbia e speranza. L’umanesimo israeliano è rinato a Gerusalemme Est.

Stiamo lì con la calura estiva e sotto la pioggia invernale, urlando e invitando gli altri a raccogliersi intorno a noi, alla ricerca sia dello Shabbat che della pace. Non retrocederemo davanti ad ufficiali di polizia violenti o a molestatori e teste calde. Noi restiamo lì e promettiamo: non rimarremo in silenzio quando Ahmad e Aysha saranno costretti a dormire per strada, fuori dalla propria casa, diventata di dominio dei coloni. È giustizia questa? Non la nostra! No, questa è iniquità.

Gerusalemme si sta svuotando più velocemente di qualsiasi altra città al mondo. In un primo momento l’hanno lasciata i suoi facoltosi residenti, in seguito i suoi cittadini moderati hanno abbandonato la nave, seguiti dai laici e dai giovani. Molto presto non ci sarà più nessuno da lasciare lì a vivere, e la città resterà completamente sola. Le fonti di luce sono state estinte, offuscate da raggi di oscurità.

Per quanto tempo, signor Primo Ministro e signor Sindaco? E perché voi, giudici di Israele, collaborate con il diavolo che minaccia di distruggerci? Venite con noi, tornate al giudaismo del “Non rubare” e “Non uccidere”. Lasciate Sheikh Jarrah ora!

(Traduzione in italiano di Cecilia Dalla Negra)

Giovedi,  11 Marzo, 2010

Fine chiamata per i colloqui indiretti. aljazeera.net

Il presidente palestinese sarebbe intenzionato a chiamarsi fuori dai colloqui indiretti con Israele dopo l’annuncio del ministro dell’Interno israeliano della costruzione di 1600 nuove unità abitative coloniche.

Mahmud Abbas ha comunicato via telefono la decisione a Amr Moussa, segretario generale della Lega Araba, che mercoledi l’ha resa nota in una conferenza stampa al termine dell’Assemblea straordinaria dei delegati della Lega Araba al Cairo.

“Per il momento il presidente palestinese ha deciso di non prender parte a questi negoziati…la parte palestinese non è disposta a trattare a simili condizioni” ha dichiarato.

Il ministero degli Interni israeliano, controllato dal partito nazionalista ultraortodosso Shas, ha annunciato martedi che verranno costruite altre 1600 unità abitative a Ramat Shlomo, un insediamento ebraico in territorio occupato cisgiordano annesso da Israele a Gerusalemme.

 

Condanna Usa

L’annuncio ha suscitato l’indignazione fra i palestinesi e la condanna da parte di Joe Biden, il vicepresidente statunitense in visita nella regione.

Biden ha ribadito mercoledi che la decisione di Israele mina alla base la fiducia necessaria per i colloqui. Ai microfoni di Al Jazeera. dai Territori Occupati della Cisgiordania, Biden ha spiegato le motivazioni della condanna: “Palestinesi e israeliani avevano appena accettato di rilanciare il dialogo, e c’era la speranza di raggiungere un accordo, un accordo finale. E’ chiaro che c’è qualcosa che non va nei rapporti, eppure quando parlo individualmente con i miei vecchi amici Abbas, Fayad e Netanyahu, in verità le parti non sono così distanti. Questo è il momento di costruire la fiducia perché sono assolutamente convinto che c’è il desiderio da parte dei partiti di andare avanti. Sanno che lo status quo non è utile a nessuno. Tutti sanno che i palestinesi hanno diritto a uno stato indipendente e gli israeliani a uno stato indipendente e sicuro, e questo tipo di azioni sono solo destabilizzanti qunado c’è più accordo che disaccordo”.

Funzionari israeliani si sono ufficialmente scusati per l’imbarazzo causato a Biden per la tempistica dell’annuncio e collaboratori di Netanyahu hanno dichiarato che il primo ministro è stato sorpreso dall’annuncio del progetto.

Eli Yishai, ministro degli Interni del partito Shas, ha dichiarato che “certamente non c’è stata l’intenzione di provocare nessuno… tantomeno il vicepresidente Usa”.

Ha però ammesso che l’approvazione finale del progetto avrebbe richiesto almeno qualche altro mese per cui “il momento dell’annuncio sarebbe dovuto avvenire tra due, tre settimane”.

 

 

“Le costruzioni continueranno”

 

Ofir Gendelman, nominato recentemente portavoce per il mondo arabo del premier israeliano, ha dichiarato ad Al Jazeera che l’annuncio era considerato una vergogna in primo luogo da Netanyahu, il quale tuttavia non ha mostrato alcuna intenzione di voler bloccare la decisione relativa agli insediamenti.

Gendelman ha dichiarato che è difficile gestire un governo di coalizione in una democrazia così animata, in cui si devono tenere in conto così tante voci: “Ci sono partiti favorevoli al processo di pace e ce ne sono altri come Shas, che controlla il ministero degli Interni, che esprimono posizioni più… conservatrici, circa il processo di pace” ha spiegato. “Il governo è fortemente interessato a promuovere il processo di pace e lo dimostra il congelamento della costruzione degli insediamenti in Cisgiordania”, ha poi aggiunto, precisando però che “Gerusalemme è un caso completamente diverso” e che “le costruzioni nei quartieri ebraici continueranno”.

“Il quartiere in questione esiste da più di venti anni ed è abitato da oltre 15000 persone. Le costruzioni non riguardano un quartiere arabo, non si può parlare di provocazione. Sono costruzioni all’interno della capitale dello stato di Israele e rimarranno a farne parte anche dopo qualsiasi accordo con i palestinesi”

 

“E’ inutile”

Oltre all’annuncio degli insediamenti di Gerusalemme, martedi è stata anche approvata la costruzione di 112 nuovi appartamenti nella colonia di Beitar Ilit in Cisgiordania, il tutto in coincidenza dell’arrivo di Biden e della disponibilità palestinese ai colloqui indiretti..

Moussa mercoledi ha dichiarato che si tratta “di un affronto che nessun arabo può accettare”

La nostra posizione è quella di rigetto del messaggio israeliano. A questo punto Abu Mazen non è disposto a prendere parte ai colloqui perché sarebbe inutile. I colloqui si sono già fermati.”

Moussa ha aggiunto che il sostegno per quattro mesi della Lega Araba ai colloqui, espresso la settimana scorsa, sarà nei prossimi giorni riesaminato dai ministri arabi.

Un comunicato della Lega Araba riporta che “i colloqui proposti sono irrilevanti” in ragione del “mancato arresto degli insediamenti israeliani, che stanno cambiando la struttura della popolazione e la composizione geografica dei territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est, e della mancata revoca dell’annuncio della costruzione di centinaia di insediamenti nella parte occupata di Gerusalemme “.

Martedi,  9 Marzo, 2010

Ostacolo per i nuovi negoziati in Medio Oriente. aljazeera.net

L’iniziativa israeliana di espandere gli insediamenti nei territori occupati della Cisgiordania rischia di far saltare nuovamente l’intesa per le trattative indirette con l’Autorità Palestinese, prima ancora del loro inizio.

George Mitchell, inviato statunitense nel Medio Oriente, aveva annunciato lunedi che le due parti  avevano trovato un accordo per riavviare negoziati indiretti, fermi dalla guerra di Gaza del dicembre del 2008.

Aveva anche detto che sperava che tali trattative indirette “potessero condurre al più presto possibile a negoziati diretti” e si era perciò appellato alle due parti affinchè si astenessero dal fare alcunchè che potesse mettere a repentaglio il dialogo.

Ma la notizia dell’approvazione da parte del ministro della difesa israeliano della costruzione di 112 nuovi appartamenti nell’insediamento di Beitar Illit in Cisgiordania ha sollevato una forte reazione da parte palestinese.

 

Grosso punto interrogativo

Il presidente palestinese Mahmad Abbas, secondo quanto riportato, nel corso dell’incontro di lunedi a Ramallah, ha riferito a Mitchell, che se Israele continuerà a mettere in difficoltà l’Autorità Palestinese con la costruzione di nuovi insediamenti, il dialogo tornerà a essere posto nel congelatore.

Saeb Erekat, capo negoziatore palestinese, ha accusato Israele di tentare di minare il dialogo ancor prima che possa cominciare. Queste le sue parole: “Se il prezzo che dovremo pagare per un “si” a Mitchell dovesse significare l’incremento di insediamenti, incursioni e restrizioni, si porrebbe un grosso punto interrogativo circa la possibilità di continuare”.

Abbas ha richiesto per mesi che Israele ponesse termine a ogni costruzione in Cisgiordania e a Gerusalemme Est come condizione per un ritorno palestinese al tavolo dei negoziati. Invece domenica scorsa, il presidente palestinese aveva accettato di partecipare al dialogo indiretto con Israele, per un periodo di quattro mesi e con la mediazione degli Stati Uniti.

Alcuni gruppi palestinesi come Hamas, al governo a Gaza, hanno criticato la decisione di riaprire i colloqui considerandola un cedimento alle pressioni di Stati Uniti e Israele.

A novembre Israele aveva dichiarato che avrebbe limitato per 10 mesi la costruzione di 3000 unità abitative già in corso in Cisgiordania, salvo aggiungere che ci sarebbero state delle “eccezioni”.

E lunedi, il ministro della difesa ha presentato come eccezione, la più grossa dall’entrata in vigore delle restrizioni dei 10 mesi, il caso della colonia ultra-ortodossa Beitar Illit, adducendo ragioni di sicurezza e infrastrutturali.

 

Affronto agli Usa

I cosiddetti 10 mesi di restrizioni dell’espansionismo delle colonie – che non riguarda Gerusalemme Est – segnano già una passo indietro rispetto alle precedenti richieste da parte di Washington che volevano un arresto totale dell’attività degli insediamenti.

Il cambio di lunedi è sembrato solo l’ultimo affronto all’amministrazione Obama da quando Joe Biden, vice presidente Usa, ha iniziato la sua visita di cinque giorni nella regione. Quella di Biden rappresenta la visita più importante da parte di un rappresentante istituzionale del governo Obama.

In una intervista a Yedioth Ahronoth, il più diffuso quotidiano israeliano, ha dichiarato che è cruciale che entrambe le parti entrino nei negoziati con lo spirito giusto: “Abbiamo assicurato che questa volta daremo ai negoziati ogni possibilità per un esito positivo. La chiave in ogni trattativa è la buona disposizione, per questo è necessario che ambo le parti si siedano al tavolo con intenzioni serie”.

Se i colloqui evolveranno, crediamo di poter recuperare il tempo perso e che il conflitto possa cessare”.

Successivamente, lunedi, in un discorso a Gerusalemme che seguiva l’incontro con Mitchell, il primo ministro israeliano, Binyamin Netanyahu, ha dato il suo benvenuto al nuovo inizio dei negoziati: “Spero che i prossimi incontri possano velocemente condurre a negoziati diretti che agevolino realmente il processo di pace”, ha detto. Ma ha aggiunto che tali negoziati si potranno realizzare solo se i palestinesi riconosceranno Israele come stato ebraico e se sarà garantita la sicurezza di Israele.

“Il processo diplomatico non è un gioco, è reale, e verte in primo luogo nella sicurezza di Israele” ha concluso.

Giovedi,  18 Febbraio, 2010

Pressioni su Israele per la morte di Mahmud

Israele sta cominciando a essere posto sotto pressione per l’assassinio di un comandante di Hamas in un hotel di lusso di Dubai il mese scorso.

Martedì, ufficiali governativi britannici hanno interrogato l’ambasciatore israeliano a Londra in merito ai sei passaporti britannici contraffatti usati dalla squadra speciale che avrebbe ucciso Mahmud al-Mabhouh.

Anche le autorità irlandesi hanno convocato l’ambasciatore israeliano a Dublino dopo la scoperta dell’utilizzazione durante l’operazione di anche tre passaporti irlandesi falsi.

Sette tra i nomi indicati sui passaporti appartengono a persone attualmente viventi in Israele, ignare di tutto.

 

Nessuna contraffazione

Il sito internet del quotidiano, di proprietà del governo di Abu Dhabi, The National, nella giornata di martedì citava Dahi Khalfan Tamim, capo delle forze di polizia di Dubai, secondo il quale le indagini “rivelavano un coinvolgimento del Mossad (servizio di sicurezza israeliano) nell’omicidio”.

Tamim ha dichiarato che “dietro l’omicidio si nascondeva al 99%, se non al 100%, il Mossad.

Il capo della polizia ha anche dichiarato ad Al-Bayan, altra testata di Dubai, che i passaporti europei utilizzati nell’operazione non erano contraffatti e che il personale dell’Ufficio Immigrazione di Dubai era stato formato da esperti di sicurezza europei proprio per riconoscere tali documenti: “La formazione era diretta a specializzare i funzionari dell’Ufficio Immigrazione affinchè fossero in grado di riconoscere passaporti falsi… procedure che sono state applicate all’aeroporto di Dubai allo sbarco della squadra speciale. Nessun segno di contraffazione è stato individuato in detti passaporti”

 

“Politica di ambiguità”

La polizia di Dubai ha mostrato un filmato girato da telecamere a circuito chiuso in cui sono ritratte 17 persone ritenute implicate nell’omicidio di al-Mabhouh’s all’hotel Al-Bustan.

Undici degli incriminati sono stati individuati sulla base del registro immigrazione, sebbene si ritenga siano tutti entrati nell’Emirato con passaporti falsi, inclusi un passaporto francese e uno tedesco che si aggiungono a quelli britannici e irlandesi.

Il Ministro degli Esteri britannico ha dichiarato che l’agenzia investigativa nazionale, la Serious Organised Crime Agency, sta conducendo le indagini sul caso in stretta collaborazione con le autorità dell’Emirato.

Ha anche aggiunto che la Gran Bretagna fornirà un sostegno ai propri cittadini “vittime di queste attività fraudolente”.

Il silenzio di Israele sull’assassinio è stato rotto mercoledì da Avigdor Lieberman, ministro degli esteri, il quale ha affermato “che non ci sono ragioni per pensare che ci sia un coinvolgimento del Mossad e non dei servizi di qualche altro paese, se non che si tratti di un atto isolato”.

Tuttavia ha anche ammesso che Israele conduce una “politica di ambiguità” nelle questioni di intelligence.

 

Rabbia palestinese

Nella Striscia di Gaza, i territori palestinesi guidati da Hamas, mercoledì la rabbia è esplosa per le strade nel corso di una manifestazione che ha visto la partecipazione di migliaia di persone e durante la quale hanno risuonato grida di vendetta per la morte di Al-Mabhouh.

Al-Mabhouh era un comandante in alto grado e uno dei fondatori delle Brigate Ezzedine al-Qassam, il braccio armato di Hamas.

Khaled Meshaal, leader di Hamas e lui stesso vittima di un attentato da parte di Israele, ha puntato il dito contro il Mossad: “Il tempo delle promesse e delle parole di vendetta è scaduto. Adesso è il tempo di agire” ha dichiarato rivolgendosi alla folla di Gaza in collegamento video da Damasco, dove vive.

Killer professionisti

Stratfor, un’agenzia di intelligence non governativa con sede negli Usa, giovedi ha reso noti i risultati delle analisi del video di Dubai, che hanno rivelato come i presunti attentatori abbiano operato in modo “calcolato e ben dissimulato, indicativo di un alto livello professionale”.

L’esito è stato che “la tattica e la logistica messe in opera, vanno ben al di là delle possibilità delle organizzazioni terroristiche conosciute e anche della maggior parte dei servizi di intelligence nazionali”.

Startfor ha concluso che il video, in ogni caso, non offriva indizi su quale servizio segreto fosse in questo caso implicato.

Nonostante questo, l’agenzia stampa AP, riporta come alcuni ufficiali dei sevizi di sicurezza israeliani siano convinti che dietro l’operazione vi sia il Mossad, sia per le motivazioni dell’assassinio sia per l’utilizzo di identità di cittadini israeliani.

In Israele i media hanno fatto registare diverse reazioni, dall’esultanza per la morte di Al-Mabhouh, alla critica per un’operazione giudicata approssimativa.

Un opinionista ha chiesto dalla prima pagina di Haaretz le dimissioni del capo del Mossad, Meir Dagan.

Ma fonti vicine a Dagan hanno dichiarato all’agenzia stampa Reuter che il capo dell’intelligence non ha nessuna intenzione di lasciare il mandato prima della termine, previsto comunque per quest’anno. Per Dagan, rassegnare le dimissioni equivarrebbe ad ammettere un’implicazione del Mossad nell’operazione.

Intanto, il caso diplomatico rischia di ingrandirsi, con la convocazione in Gran Bretagna di Ron Prosor, l’ambasciatore israeliano che potrebbe essere espulso nel caso non riuscisse a fornire risposte adeguate.

 

Mercoledì 17 Febbraio 2010

Hezbollah avverte Israele contro eventuali attacchi

 

Il leader del movimento politico libanese Hezbollah ha avvertito Israele che, in caso di un suo attacco militare, il Libano sarebbe pronto a colpire con lancio di razzi l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv ed altri obiettivi strategici.

In collegamento video da una località segreta nel Libano, martedi Hassan Nasrallah ha ammonito: “Se loro distruggeranno i nostri edifici a sud noi distruggeremo i loro a Tel Aviv”.

Il suo discorso è stato trasmesso ad un convegno di commemorazione di Imad Mughineh, un alto comandante militare di Hezbollah assassinato con una autobomba nel 2008 a Damasco in Siria.

Israele e Hezbollah, che nel 2006 hanno combattuto una guerra di 34 giorni, negli ultimi mesi hanno uno scambio di avvertimenti.

Nasrallah ha proclamato che il suo gruppo dispone di un arsenale di migliaia di missili e razzi, alcuni dei quali in grado di raggiungere qualunque località israeliana.

“Più forti militarmente”

Nisreen El-Shamaylh, corrispondente a Beirut di Al Jazeera, ha riportato le parole di Nasrallah che ammonivano che questa volta la risposta di Hezbollah non si sarebbe tradotta in qualche buco sui muri degli edifici israeliani ma nella loro completa distruzione. “Ciò significa che oggi il “Partito di Dio” è militarmente e tecnologicamente più forte di quanto non lo fosse in passato”.

Sebbene Nasrallah abbia precisato come il suo partito non punti a un nuovo conflitto, ha affermato che se tale eventualità si verificasse Hezbollah sarebbe pronto a colpire in profondità Israele.

La nostra corrispondente ha detto come Nasrallah abbia sottolineato di non gradire il nuovo linguaggio in uso tra certi piccoli gruppi in Libano: “Certi discorsi devono cessare perchè forniscono unicamente il pretesto ad Israele per nuovi attacchi militari”.

 

Infrastrutture distrutte

Durante i combattimenti del 2006 Israele colpì principalmente la periferia sud di Beirut e il Libano meridionale, a maggioranza sciita, dove Hezbollah manteneva salde roccaforti dalle quali Israele si era ritirato nel 2000.

Nell’operazione militare, Israele distrusse decine di edifici, inclusi gli uffici di Nasrallah, e bombardò l’aeroporto civile Rafik Hariri di Beirut.

Hezbollah rispose con il lancio di 4000 razzi, ma la sua controffensiva non penetrò fino a Tel Aviv.

Il bilancio delle vittime della guerra fu di 1200 in Libano e di 160 in Israele.

In queste ultime settimane, funzionari siriani e libanesi hanno ripetutamente accusato Israele di spingere per una nuova guerra nell’area, nel tentativo di arrestare il programma nucleare iraniano, considerato da Israele una minaccia per la sua stessa sopravvivenza.

Binyamin Netanyahu, Primo Ministro israeliano, martedi, in visita istituzionale in Russia, ha dichiatrato di “non stare preparando alcuna guerra” e ha accusato l’Iran di fomentare le paure affinchè le potenze occidentali valutino l’opportunità di ulteriori sanzioni contro il paese per via del suo programma nucleare.

Lunedi, 15 Febbraio, 2010

Sanguinosi combattimenti in un campo libanese

 

Fonti ufficiali riportano che scontri tra gruppi palestinesi rivali nel campo profughi di Ain al-Helweh, nel sud del Libano, hanno causato la morte di almeno una persona.

La vittima del conflitto a fuoco di lunedi è una donna civile, mentre un membro di Fatah, il partito guidato dal presidente Mahmud Abbas, ha riportato gravi ferite.

La corrispondente in Libano di Al Jazeera, Nisreen El-Shamayleh ha dichiarato che benchè i combattimenti siano quasi cessati, la situzione permane tesa. Ha poi aggiunto che “l’attentatore sarebbe legato a gruppi islamisti all’interno del campo”.

“Lui non era un militante in senso stretto e neanche il gruppo al quale era collegato è stato ancora identificato”.

In ogni caso, un gruppo islamista denominato Usbat al-Ansar in passato è stato più volte causa di instabilità all’interno del campo”.

“Incidente isolato”

Il capo dell’ala militare di Fatah nel campo ha dichiarato alla corrispondente di Al Jazeera che si è trattato di un fatto isolato, uno scontro tra due persone senza alcun risvolto politico.

L’agenzia stampa AFP ha però riportato che l’esercito libanese ha isolato l’ingresso principale all’esterno del porto meridionale di Sidone e che decine di famiglie sarebbero state viste fuggire in preda alla paura da Ain al-Helweh. Alcuni veicoli in uscita dal campo avrebbero trasportato dei feriti negli ospedali vicini.

Secondo una convenzione consolidata, l’esercito libanese non entra nel campo, lasciando la gestione della sicurezza nelle mani dei palestinesi

Ain al-Helweh è il più grande tra i 12 campi profughi palestinesi in Libano ed ospita circa 50.000 rifugiati.

 

Domenica 14 febbraio 2010.

 


Abbas sospende il capo del suo staff

 

I media palestinesi hanno riportato che il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, ha sospeso il capo del suo staff accusato di irregolarità finanziarie.

Wafa, l’agenzia stampa ufficiale palestinese, ha riferito che Abbas, attualmente impegnato in un tour istituzionale in estremo oriente, domenica ha ordinato la sospensione di Rafik Al-Hussein e ha avviato un’indagine sulle dichiarazione di Fahmi Shabaneh, un ex ufficiale dei servizi palestinesi. L’Autorità palestinese riceve ogni anno centinaia di milioni di dollari da donatori internazionali, e la percezione della corruzione generale è stata una delle principali ragioni dietro la sconfitta di Fatah, il movimento politico del presidente, nelle elezioni legislative del 2006 vinte da Hamas.

La settimana scorsa, il canale israeliano Channel 10 ha mandato in onda un servizio realizzato con telecamere nascoste e interviste con Shabaneh che sosteneva che Al-Hussein aveva offerto favori in cambio di sesso.

 

“Ricatto”

 

Da Ramallah, città della Cisgiordania, domenica Al-Hussein ha dichiarato ai giornalisti che “era stato vittima di una trappola ordita da membri di un gruppo legato ai servizi israeliani”. “Questo gruppo ha usato il filmato per ricattarmi finanziariamente e politicamente, col tentativo di farmi abbandonare il mio lavoro a Gerusalemme e la mia terra. Ma non lo farò mai”.

Al-Hussein ha aggiunto che il video risaliva a 18 mesi prima e che del fatto aveva immediatamente avvertito Abbas. Egli ha anche insinuato che il filmato fosse stato pesantemente manomesso e l’audio doppiato.

Shabaneh ha affermato di aver presentato il video e le prove della corruzione finanziaria di alti funzionari del governo di Abu Mazen, ma di essere stato ignorato. In ogni caso, al momento, non ha ancora fornito i documenti per una verifica pubblica.

Dopo la trasmissione del filmato, ufficiali dell’Anp hanno accusato Shabaneh di collaborazionismo con Israele e di cercare di screditare il presidente Abbas. Il procuratore generale palestinese ha minacciato di citare in giudizio l’emittente israeliana Channel 10 per “calunnie a mezzo stampa e false dichiarazioni”.