Sta giungendo a conclusione il viaggio della nostra delegazione in Palestina. Riceviamo e pubblichiamo il secondo report, inviatoci il 6 Giugno e dedicato principalmente alla visita alla città di Hebron.
Buona Lettura.
Nel corso della nostra permanenza in Palestina, dedichiamo uno dei nostri giorni alla città di Hebron. Inevitabilmente, lungo le strade, si avverte una forte tensione.
Quello che un tempo era un mercato ricco e colorato e’ oggi una via di negozi chiusi a causa dell’occupazione. Abbiamo la fortuna di entrare in una piccola casa e così possiamo vedere direttamente la spazzatura e gli oggetti che gli israeliani lanciano dalle case occupate verso le abitazioni palestinesi dei piani inferiori. E’ impressionante, nonostante la città sia sotto giurisdizione palestinese, vedere i pochi bambini israeliani, figli dei coloni che si sono insediati ad Hebron, scortati dai giovani soldati sempre armati di mitra. E’ difficile passeggiare senza riflettere che il popolo palestinese sia stato relegato in piccoli territori sui quali possiede teoricamente la giurisdizione, ma nella pratica essa e’ esercitata dai soldati israeliani che, in base al loro umore, possono decidere quali zone chiudere, chi far passare, chi trattenere. La moschea di Ibrahim e’ stata in parte sottratta ai musulmani e per poter accedere si deve passare attraverso i soldati israeliani che mangiano, bevono e giocano fra loro senza alcun rispetto per i fedeli che si recano a pregare. Passare nella parte della moschea occupata dagli israeliani e’ impresa ardua, un poliziotto, anche esso armato di mitra, ci segue dal nostro arrivo. Qui, e’ difficile avvertire la presenza di Dio in un luogo dove soldati e poliziotti girano armati e dove un ebreo ultraortodosso non ha remore a chiedere denaro per averci spiegato due cose rigorosamente in ebraico.
La questione del muro e’ ovunque un tema ricorrente. Infatti, nel corso del viaggio, e’ inevitabile scontrarsi con la sua realizzazione. I lavori per il compimento dell’apartheid hanno comportato la costruzione di strade di aggiramento per i soli coloni, varchi agricoli e numerosi check points per pedoni e veicoli.
La rete di strade, ponti e tunnel continua a circondare le citta’ ghettizzando il popolo palestinese. Ogni strada, insieme alle zone di sicurezza che la accompagnano, separa i palestinesi dalle loro terre, isolando i villaggi ciascuno dall’altro e strozzando l’economia.
A Ramallah incontriamo l’Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi, un’organizzazione di donne progressista, che ha lo scopo di dare forza alle donne palestinesi e contribuire alla lotta della Palestina contro l’occupazione.
Facciamo un piccolo giro del centro tappezzato da interessanti manifesti che richiamano alla lotta all’emancipazione femminile e quella alla liberazione del popolo palestinese.
Nel corso di questi anni di attività sono stati aperti ben 24 centri per l’infanzia dislocati sui territori occupati e che vengono tenuti aperti a dispetto delle tante difficolta’, sia politiche che economiche. All’interno di questi centri lavorano circa 60 donne come supervisori o come insegnanti.
Inoltre, l’associazione lavora ad un programma di supporto all’istruzione, attraverso il quale si incoraggiano le giovani donne a proseguire i propri studi, e al programma di supporto economico che mira a favorire l’indipendenza economica femminile.
Queste brevi notizie non riportano completamente tutto quello che abbiamo visto, sentito ed ascoltato durante il nostro percorso, ne’ i numerosi temi su cui abbiamo discusso con le famiglie che abbiamo incontrato e con i compagni palestinesi. Tra questi, il diritto al ritorno dei profughi e la loro condizione quotidiana, la detenzione amministrativa, la difficile condizione politica attuale e le possibili strategie della sinistra, la questione dell’acqua…