Sloterdijk

Vivere implica trasformarsi per accedere allo statuto del saggio. È necessario un nuovo movimento riformatore, su scala globale, che presenti una dimensione ecologica e etica al servizio della vivibilità del pianeta Incontro alla Milanesiana con il filosofo tedesco. L’umanesimo affidato alla «lettera» – dice – è definitivamente morto. La componente «bestiale» dell’uomo va addomesticata usando altri mezzi
I libri, osservava il poeta Jean Paul, «sono lunghe lettere che inviamo agli amici». Nel 1999, in apertura di Regole per un parco umano, saggio tratto da una conferenza su Heidegger e destinato a provocare non poche polemiche nel contesto delle riflessioni sulla bioetica e la natura umana, Peter Sloterdijk non mancava di citare uno degli autori che, a suo dire, meglio incarnerebbero lo spirito e i limiti dell’umanismo moderno e contemporaneo, quell’umanismo basato su un’«etica dell’alfabeto» e un assoluto primato del libro come oggetto di mediazione fra l’uome e la sua, forse insopprimibile, «animalità».

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