VITA A GAZA NELLA «BUFFER ZONE»

Khaled ora è un invalido. Era andato a raccogliere legna da ardere, è stato colpito da un proiettile a frammentazione sparato da un soldato israeliani che gli ha fatto a pezzi una gamba

DI SILVIA TODESCHINI

Gaza, 05 marzo 2011, Nena News – Stava finendo la bombola del gas in casa e sua moglie doveva cucinare, così Khaled Mohammed El Hsunmy, 37anni, è andato a raccogliere legna. Il posto dove si può trovare legna da ardere è vicino al confine, e lui si trovava a 450 metri dal confine, nelle vicinanze c’era anche un pastore. Non era la prima volta che si recava li a raccogliere legna, succedeva circa una volta al mese.Un cecchino israeliano lo ha colpito con un dum dum (proiettile a frammentazione che esplode all’impatto, proibito dalla convenzione di Ginevra) nella parte bassa della gamba destra, mandando in frantumi sia il perone che la tibia. “In casa siamo 9, il mio figlio maggiore ha 10 anni e la mia figlia maggiore 18. Lavoravo come contadino alla giornata, ma nell’ultimo periodo era difficile trovare lavoro, negli ultimi 2 mesi non mi ha chiamato nessuno.” Ha subito un’operazione i medici hanno dovuto applicare un sostegno esterno per impedire alle ossa di ricalcificarsi nelle posizione sbagliata; probabilmente nel giro di un anno dovrà subire un’altra operazione nella quale preleveranno dei pezzi di ossa dall’anca per posizionarli dove mancano nel perone o nella tibia.

Due persone sono andate a trovare Khaled in ospedale, uno è suo nipote, Bilal Shaban ElHsunmy di 18 anni, che raccoglieva detriti vicino al confine ed è stato ferito da un dum dum l’11 dicembre dell’anno scorso, anche lui ha ancora i sostegni esterni per fissare l’osso nella posizione giusta, ed anche a lui dovranno amputare un pezzo di osso dell’anca per metterlo dove è stato completamente frantumato dal dum dum sparato dal cecchino israeliano. I suoi 2 fratelli maggiori facevano lo stesso lavoro, ed entrambi sono stati feriti dalle forze di occupazione. Adesso nessuno lavora in famiglia.

L’altra persona presente nella stanza è Mohammed Smail ElKhamdaw, 34 anni, vicino di casa di Khaled, ferito il 19 novembre mente raccoglieva detriti al confine. Racconta: “La mia gamba era tenuta insieme solo dalla pelle, le ossa erano completamente andate in frantumi… nessun altro lavora in famiglia, dio ci aiuterà a trovare di che vivere. Mi domandi di lasciare un messaggio? Non ho nessun messaggio. Qualunque messaggio sarebbe inutile, perché tanto Israele continua a fare quel che vuole, qualunque cosa io dica non cambia nulla.”

Israele ha chiamato “buffer-zone” l’area di terreno palestinese compresa nei 300 metri dal confine israeliano, e ne hanno unilateralmente proibito l’ingresso a chiunque non faccia parte delle forze di occupazione. Inoltre, in un’area che secondo un rapporto dell’ONU va dal chilometro ai due chilometri dal confine, i cecchini israeliani sparano spesso ai palestinesi. Il rapporto dell’ONU definisce “no-go zone” l’area fino ai 300 metri e “high risk zone” l’area fino al chilometro e mezzo, due chilometri. Poiché nessuno o quasi nessuno entra più nei 300 metri dal confine, la maggior parte dei casi di persone ferite o uccise nell’ultimo periodo è nell’“high risk area”, sebbene essa non sia chiaramente definita né esplicitamente dichiarata nemmeno dalle forze di occupazione.

“Erano le 2 del pomeriggio stavo dormendo vicino alla finestra, e vicino a me dormiva anche mia figlia di 18 mesi. Mi sono svegliato terrorizzato da un’esplosione vicinissima, la finestra era andata in frantumi e mia figlia perdeva sangue dalla parte alta della testa, quando l’ho pulita mi sono accorto che c’era un pezzo di vetro conficcato nella pelle, allora la ho portata in ospedale ero molto preoccupato, ha solo un anno e mezzo…li le hanno tolto il vetro e mi hanno spiegato come cambiarle le bende ogni giorno.” Inizia così il racconto di Haitham Jamal Abo Sharikhi (33 anni) riguardo i fatti avvenuti il 26 febbraio. Le finestre dell’edificio sono andate completamente distrutte, non è più possibile chiudere la porta della terrazza e la casa è completamente piena di vetri: i pavimenti, i tappeti, i materassi, le coperte… Quando i bambini camminavano si continuavano a ferire con i vetri sui tappeti e sul pavimento e per questa ragione la famiglia si è temporaneamente spostata a vivere da dei parenti. L’esplosione è avvenuta a poche decine di metri dall’abitazione di Hitiam, in un ex compound militare colpito talmente tante volte che ormai è ormai vuoto ed abbandonato, ma lo spostamento d’aria è stato sufficiente a distruggere tutti i vetri dell’edificio, dal secondo piano dove abita lui al piano terra dove abita sua madre Shafiah, di 57 anni. “anche io stavo dormendo e sono stata investita dai vetri – racconta – fortunatamente ero protetta da una coperta. Dopo ho visto una grande nube nera alzarsi dal luogo dell’esplosione. Mio figlio sembra forte, ma so che è distrutto per quanto è successo a sua figlia.”

La prima moglie di Hitiam è stata uccisa nel 2007 quando da Beit Lahya stava cercando di raggiungere il marito che si trovava a Gaza, perché la situazione nel nord stava diventando pericolosa. I suoi 2 figli stavano viaggiando con la madre un un’automobile che è stata colpita da una bomba israeliana lanciata nelle vicinanze. La madre e l’autista sono morti, e, quando hanno portato il cadavere della madre all’ospedale, ancora teneva salda la figlia di 15 giorni, ed i medici hanno dovuto faticare per separarla dalla madre. La figlia ferita il 26 febbraio proviene invece dal secondo matrimonio di Hitiam, avvenuto dopo la morte della prima moglie.

Sempre il 26 febbraio più o meno alla stessa ora le bombe israeliane hanno raggiunto il campo profuchi di Burej, fortunatamente senza causare nessun ferito

Tareq ed Omar stavano raccogliendo pietre, Tareq si trovava a 700 metri dal confine e Omar si era avvicinato fino a 300 metri, per raggiungere un’area dove poteva trovarne di più. Le pietre poi sarebbero state distrutte per farne materiale da costruzione, l’ingresso del quale qui a Gaza è proibito dall’assedio. Omar si trovava fuori dalla vista di Tareq quando dalla torre di controllo hanno iniziato a sparare, Tareq sapeva che il cugino era ferito, ne era certo anche perché con l’ultimo colpo è stato colpito l’asino che tirava il carretto che Omar utilizzava, l’aveva visto cadere. Tareq non poteva avvicinarsi perché gli spari continuavano, e nemmeno l’ambulanza riusciva ad avere il coordinamento con l’esercito israeliano per raggiungere l’area.

Le forze di occupazione hanno continuato a sparare fino alle 11, e nel frattempo i bulldozers stavano scavando un buco attorno al carretto ed all’asino morto.

Alle 2 di pomeriggio la salma di Omar è stata recapitata all’ospedale di Shifa attraverso il valico di Erez. Il corpo presentava una ferita da dum dum (proiettile che esplode all’impatto, vietato dalla convenziona di Ginevra) all’altezza dell’addome, e nessun segno di cure o medicazioni.

Omar, assassinato a vent’anni, lascia una moglie della stessa età ed un bimbo di 2 anni. E tante domande sul perché di un’azione militare che nel suo complesso appare davvero priva di senso ed troppo simile ad un gioco violento, contro un individuo chiaramente disarmato ed inoffensivo.

“Non vogliamo soldi, cibo o vestiti, vogliamo vivere al sicuro. I miei figli si svegliano la notte facendo incubi di spari e morti, la moglie di mio cugino Omar è distrutta dal dolore” conclude Tareq.

 Nena News