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Quella della provincia di Farah è l’ennesima, e probabilmente la peggiore, strage di civili di una guerra di cui si fatica a vedere la fine. Oltre cento morti, forse centoventi, in un «incidente» su cui le indagini in corso dovranno fare chiarezza. Un altro tragico, fatale «errore» che va ad allungare una lista crescita, stando all’ultimo rapporto annuale dell’Unama, la missione Onu a Kabul. Nel 2008, infatti, il numero delle vittime civili del «fuoco amico» è aumentato del 31 per cento rispetto all’anno precedente: l’Unma ha contato infatti 828 civili uccisi da esercito e polizia afghani, Isaf/Nato e forze americane, un numero pari al 39 per cento del totale, la maggior parte dei quali morti in seguito ai raid aerei. Proprio come è successo martedì a Farah. Gli attacchi dal cielo, quasi sempre notturni, hanno fatto il 64 per cento delle vittime uccise «per sbaglio» e sono per questo i più temuti e condannati. Quest’ultima strage ha superato per numero di morti quella di Azizabad, nel distretto di Shinband, provincia di Herat, sempre causata da un raid aereo. Il 21 agosto del 2008 una missione congiunta delle forze afghane e internazionali ha attaccato il villaggio dove ritenevano si nascondesse un comandante talebano: informazione poi rivelatasi falsa ma che costò la vita ad almeno 90 persone, tra cui 60 bambini, 15 donne ed altrettanti uomini. A denunciare l’elevato numero di civili uccisi fu allora proprio l’Unma, dopo una missione inviata ad hoc. La coalizione a guida americana, invece, sosteneva che i civili uccisi erano stati «solo» sette, mentre 35 guerriglieri talebani erano morti in seguito all’incursione.