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Un intervista ad Avraham Burg sulle contraddizioni profonde del sionismo.

Repubblica, 8 Giugno 2007, p. 24.

GERUSALEMME – Gli è sempre piaciuto fare la parte del guastafeste; scuotere con le sue idee controcorrente il sonnolento conformismo della maggioranza. Ma stavolta, Avraham Burg, una delle grandi promesse della sinistra israeliana, presidente dell´Agenzia ebraica a 40 anni e della Knesset a 45, finché non ha deciso, a 50, di voltare le spalle alla politica, rischia di creare un pandemonio. Motivo: il suo libro dal titolo «Sconfiggere Hitler», nel quale Burg demolisce alcuni dei pilastri ideologici su cui è stato costruito lo Stato ebraico. Un libro che il giornalista Ari Shavit, nell´intervista all´autore che compare oggi su Haaretz, definisce: «Un addio al sionismo».
Solo per accennare al tipo di reazioni che ne potranno derivare, basti sapere che il deputato del partito Kadima, Otniel Schneller, dopo aver letto le anticipazioni apparse sui giornali, ha proposto che a Burg venga impedito, per legge, di essere sepolto nella sezione del cimitero monumentale del Monte Herzl riservato alle personalità illustri. Schneller sembra addirittura invocare per Burg, che ha soltanto 52 anni e vive in Francia, un divieto di sepoltura ancora più radicale: «Dovrebbe cercarsi una tomba in un altro paese», ha tuonato.
Burg non vede il sionismo come un´ideologia permanente: «Mi sembra che sia stato Ben Gurion a dire che il movimento sionista è stato un´impalcatura per la costruzione della casa, da smontare una volta che la casa sia stata costruita». Né è disposto ad accettare, come inevitabile, necessario e giusto il risultato del sionismo, vale a dire lo Stato nazionale ebraico. Per lo meno, dice, «non nella sua definizione attuale». «Per me lo stato è uno strumento, un mezzo laico, totalmente indifferente a qualsivoglia carica spirituale, mistica o religiosa. Definire Israele uno stato ebraico e poi aggiungerci le parole (della benedizione del Paese che si legge il sabato in molte sinagoghe, ndr.) «Principio della nostra redenzione» è una miscela esplosiva. Aggiungerci poi il tentativo di fargli contenere la democrazia è impossibile».
E qui il ragionamento di Burg tocca uno dei punti destinati a suscitare le maggiori controversie. «Questo significa – chiede l´intervistatore – che non accetti più l´idea di uno stato ebraico?». «Non può funzionare – risponde Burg -. Definire lo Stato d´Israele uno stato ebraico è la chiave per la sua fine. Uno stato ebraico è esplosivo, è un esplosivo».
Altro tema dai contenuti potenzialmente dirompenti, la legge del ritorno che garantisce a tutti gli ebrei del mondo di poter emigrare in Israele e acquisirne la cittadinanza. «Bisogna cambiare la legge del ritorno?», chiede Shavit. «Bisogna aprire il dibattito», concede Burg. «La legge del ritorno è una legge apologetica. È l´immagine speculare di Hitler. Non voglio che sia Hitler a definire la mia identità. In quanto democratico e umanista, la legge mi mette davanti a una contraddizione. La legge del ritorno dà un taglio netto tra noi e l´ebraismo della diaspora, tra noi e gli arabi». Al pari di Ehad Ha-Am, pseudonimo di Asher Zwi Ginsberg, un pensatore russo sostenitore del Sionismo culturale in contrasto con il sionismo pratico di Teodoro Herzl, Burg sogna un´Israele «che sia centro spirituale» e non di contrapposizione. Ma in realtà vede un paese traumatizzato: «La gente non è disposta ad ammetterlo, ma è ormai con le spalle al muro. Chiedi ai tuoi amici – dice all´intervistatore – se sono sicuri che i loro figli continueranno a vivere qui. Quanti diranno di sì? Tutt´al più la metà. Vale a dire che l´élite israeliana si è già separata da questo posto, e senza élite non c´è nazione».
«Sostieni – ribatte Ari Shavit – che stiamo soffocando per mancanza di spirito?». «Completamente. Siamo morti. Non ce l´hanno detto, ma siamo già morti». «E raccomandi a ogni israeliano di prendere un passaporto straniero?» «A tutti quelli che possono».