Storie di vita dalla Palestina occupata_3

Storie di vita dalla Palestina occupata 3

Shaddy Heirbat: intervista alla madre Huda

(a cura dell’Associazione Amicizia Sardegna Palestina)

La famiglia Hreibat si é trasferita nella campagna di Beit ‘Awwa dopo la costruzione del Muro della separazione. “Mio figlio Shaddy, di 24 anni, fa il pastore come suo padre e suo nonno prima di lui.” ci racconta la mamma, Huda Heirbat, una donna molto bella, occhi chiari, profondi, la pelle scurita dal sole della campagna. “Nella collina di fronte al nostro paese, che é sempre stata zona di pascolo, ha costruito la sua fattoria un colono israeliano piuttosto violento. Un giorno Shaddy pascolava il suo gregge nella valle davanti al nostro paese e il colono ha cominciato a urlargli contro di tutto perché se ne andasse. Gli promise che lo avrebbe ucciso.. aveva giá sparato a un altro pastore alcune settimane prima!! Mio figlio peró non sentí ragioni, era in una valle a pochi km da casa, in terra palestinese, il colono non aveva alcun diritto di cacciarlo. Il coraggio di Shaddy venne ripagato con talmente tante botte che finí in coma. Quando mi avvisarono di ció che stava accadendo iniziai a correre cosí veloce che in mezzora ero da lui nonostante i 3km di distanza. Ero convinta fosse morto e sicuramente lo sarebbe stato se non fossi intervenuta.Successivamenti si radunarono in 20 con l’obiettivo di ucciderlo! In quella occasione c’erano pure dei soldati israeliani che avrebbero dovuto tutelare la tranquillità della zona e sono intervenuti per fermare i coloni solo dopo che questi avevano pestato mio figlio e altri pastori palestinesi. Un altro incidente é avvenuto quando alcuni ragazzi palestinesi, in segno di protesta, hanno cominciato a tirare pietre contro i soldati. Indossavano delle magliette blu: la divisa di tutti gli studenti. I miei figli erano sulla strada di casa quando i soldati li hanno aggrediti, senza nemmeno accertarsi della loro colpevolezza, li hanno picchiati, perché indossavano anche loro una maglietta blu. Quando li ho visti sdraiati a terra in mezzo alla strada privi di sensi ho pensato il peggio. Quanto dolore!” Ci spiega che le testimonianze di episodi di violenza nei confronti dei palestinesi che vivono ai confini con lo stato di Israele sono infinite. L’obiettivo sembra proprio essere quello di portare questo popolo all’esasperazione fino a che non decidano di espatriare.

A Beit ‘Awwa non ci sono cliniche, per poter raggiungere la piú vicina, a pochi km di distanza, si deve percorrere l’unica strada che unisce il paese con il resto della West Bank che é chiusa per motivi di sicurezza tutti i giorni dalle 17 alle 9 di mattina. Oltre all’orario di chiusura ordinario questo unico collegamento é spesso chiuso al traffico in maniera arbitraria durante il giorno. Ci racconta che una volta le sue figlie hanno aspettato che la porta aprisse per piú di 12 ore dalle 9 del mattino. Ci ccompagna a vedere il confine del paese vicino, Sikka. Il paese conta un migliaio di abitanti e l’Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi gestisce qua l’unico asilo presente. Accoglie i 52 bambini iscritti, dai 4 ai 6 anni, in due aule piccoline con un modestissimo cortile (quasi 10 mq). Il Muro di separazione in questo territorio non é di cemento ma si tratta di una rete di ferro con cavi dell’alta tensione. É una zona non edificabile, per nessuno, a causa della fertilità del terreno. Le reti sono tre: divise tra di loro da una strada percorribile dai soli militari israeliani. “Alcuni dei nostri terreni si trovano oltre il Muro che con la sua costruzione ha inglobato nei confini di Israele molti terreni della Cisgiordania di proprietá di palestinesi.

In questi terreni sono situati molti dei nostri ulivi, ci hanno dato un permesso per entrare in Israele, nelle sole nostre proprietá, solo in occasione della raccolta. Solo io e le mie figlie femmine, ai maschi non é stato concesso.” Ci racconta poi che, poiché in West Bank il tasso di disoccupazione é molto alto, sono tanti i palestinesi entrano in Israele saltando queste reti, tagliando prima i cavi dell’alta tensione, nella speranza di trovare un lavoro e rischiando in questo modo la loro stessa vita!

Sibilla Aleramo