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Olmert: due Stati. Se no è il Sudafrica, di Michele Giorgio

su Il Manifesto del 30/11/2007

Il premier israeliano, reduce dal vertice di Annapolis con George W. Bush e Abu Mazen, è diventato un pasdaran dello «Stato palestinese». Perché altrimenti la demografia condannerebbe ineluttabilmente, entro qualche decennio, la purezza etnica dello «Stato ebraico d’Israele»

Forse è solo una coincidenza ma Ehud Olmert, all’indomani dell’incontro di Annapolis e proprio nel sessantesimo anniversario della risoluzione 181 dell’Onu che nel 1947 stabilì la spartizione della Palestina in due Stati, arabo ed ebraico, ha sottolineato la necessità di realizzare la soluzione dei due Stati. Altrimenti, ha ammonito, Israele come Stato ebraico sarà destinato a sparire, come il Sudafrica bianco dell’apartheid. Un timore, quello di Olmert, causato da note tendenze demografiche e che il primo ministro ha espresso in un’intervista apparsa sul quotidiano Haaretz. «Se si arrivasse al giorno in cui la soluzione di due Stati dovesse scomparire e ci trovassimo davanti a un tipo di lotta come in Sudafrica per uguali diritti di voto (anche ai palestinesi dei Territori, ndr), allora da quel momento lo Stato di Israele sarebbe spacciato», ha spiegato Olmert. Israele, ha aggiunto, si troverebbe del tutto isolato: «Le organizzazioni ebraiche negli Usa sarebbero le prime a prendere posizione contro di noi perché diranno di non poter appoggiare uno Stato che non sostiene la democrazia e uguali diritti di voto per tutti».
Premesso che le organizzazioni filo-Israele negli Stati uniti (e non solo) sostengono la situazione di apartheid che si sta realizzando nei Territori occupati con il completamente del muro e la cortina fumogena delle necessità di sicurezza, il riferimento fatto da Olmert al sistema di segregazione sudafricano abbattuto da Nelson Mandela è molto importante. Il premier in sostanza ha ammesso che quello che si sta materializzando nei Territori occupati è un regime di apartheid.
I numeri e le tendenze demografiche parlano chiaro. In Israele il 20% dei suoi sette milioni di abitanti sono palestinesi a cui si aggiungono altri quattro milioni che vivono in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Tra qualche anno, una decina probabilmente, nel territorio storico della Palestina – Israele e la porzione occupata militarmente – i palestinesi saranno la maggioranza. La conferma dello status quo produrrebbe perciò una situazione in cui una minoranza ebraica, più ricca e potente, controllerebbe una maggioranza palestinese priva di diritti politici e senza il controllo del territorio e delle sue risorse.
Olmert vuole due Stati perché questa soluzione gli darebbe la possibilità di tracciare una divisione netta, per la legge internazionale, tra un Israele «patria del popolo ebraico» e un bantustan arabo patria dei palestinesi dove, peraltro, far «tornare» i profughi del 1948 che perderebbero il loro diritto a rientrare alle località di origine in Israele. Quello che il premier non dice inoltre è che questo Stato palestinese sarà a sovranità limitata, indipendente a parole ma in realtà sotto il controllo di Israele, specie in economia. Il piano di Olmert è cambiare tutto per non cambiare nulla.
Il presidente Abu Mazen, con la sua debolezza e mancanza di prospettiva, appare il dirigente palestinese ideale per realizzare questo progetto partorito ad Annapolis ad inizio settimana ma che è stato concepito da molti anni.
Olmert e una buona fetta dell’establishment politico temono che il fallimento della soluzione basata su due Stati riproponga con forza la richiesta di costituire uno Stato binazionale – un numero crescente di palestinesi comincia a rivalutare questa possibilità e una minoranza sparuta di israeliani a considerarla – e quindi si arriverebbe alla fine dello Stato creato dal movimento sionista ebraico. Le parole del premier sono allo stesso tempo un avvertimento e una richiesta di aiuto all’opposizione di destra, una esortazione a mettere fine alle proteste per lavorare insieme. La destra e il movimento dei coloni tuttavia non daranno il loro «contributo», poichè non vedono la necessità di rimescolare le carte per arrivare ad un apartheid legalizzato visto che sul terreno i palestinesi sono già rinchiusi nelle loro città-bantustan della Cisgiordania e nella Striscia di Gaza senza che questo turbi la comunità internazionale. Il disinterresse è così forte che da settimane viene ignorata l’uccisione quotidiana a Gaza di 3-4 palestinesi da parte israeliana.
Da ieri comunque Olmert ha una preoccupazione in meno: la polizia ha chiesto di archiviare le indagini sui suoi maneggi nella privatizzazione della Banca Leumi. La decisione finale è del procuratore generale ma l’incriminazione sembra a questo punto esclusa.