Il mito della Brigata ebraica e una sopravvissuta del Ghetto di Varsavia
La ricorrenza del 25 aprile è stata segnata ancora una volta dalle polemica strumentali e dalle distorsioni storiche. Questa del 2013 passerà alla storia come quella della “Brigata ebraica partigiana” o anche come quella degli “israeliani che combatterono con i partigiani”. Della prima definizione si è fatto un gran parlare senza conoscere effettivamente la storia di questa brigata.
Politicamente sappiamo che piace molto alla destra, visto che elementi del Pdl milanese hanno sfilato dietro la bandiera della Brigata ebraica nel corteo del 25 aprile (con grande sconforto del giornalista Gad Lerner). Sulla seconda affermazione, dovuta ad un fanatico signore cagliaritano difensore di Israele, stendiamo un velo pietoso, visto che l’assurdità storica si commenta da sola.
Per correttezza storica, quindi, bisogna chiarire alcuni fatti sulla partecipazione di una brigata ebraica alla guerra di liberazione italiana.
In primo luogo bisogna tenere a mente che la storia della Resistenza italiana al nazifascismo nasce con il Comitato di Liberazione Nazionale, unione di soldati e popolo che hanno lottato contro l’occupante tedesco, e finisce con la liberazione delle grandi città del nord ad opera dei reparti partigiani italiani.
È una precisazione importante, perché la Brigata ebraica in questione non faceva parte delle formazioni partigiane italiane, si chiamava infatti Jewish Infantry Brigade Group ed era una formazione militare inquadrata nell’Ottava armata dell’esercito britannico.
La storia di questa brigata è da analizzare con attenzione. La sua struttura è composita: ci sono degli ebrei inglesi e alcuni addirittura vengono dalla Scozia; molti volontari vengono invece dalla Palestina mandataria britannica. E sono proprio questi ultimi volontari a creare all’interno della Brigata una struttura parallela ai comandi dell’Haganà, la principale organizzazione armata clandestina sionista in Palestina.
A riesumare l’esistenza di questa struttura parallela è stata la giornalista Joanna Paraszczuk del “Jerusalem Post”, in una intervista pubblicata il 3 dicembre del 2010 al veterano della Brigata Mordechai Gichon, professore di archeologia classica all’università di Tel Aviv. La giornalista, nel commento all’intervista, rimarca le perplessità dei britannici nei confronti dei “volontari” ebrei che venivano dalla Palestina, tanto da negare loro la possibilità di avere ufficiali di commando: “The British Army prohibited Jewish soldiers from British Mandate Palestine from occupying senior positions in the Brigade, so the Hagana created its own secret leadership structure, led by 28-year-old Shlomo Shamir. Its covert mission would become clear after the war was over”.
L’Haganà creò dunque la sua struttura segreta con relativo commando. L’amministrazione
britannica non riconosceva pubblicamente l’Haganà, anche se l’organizzazione sionista partecipò in maniera attiva nella repressione della rivolta araba del 1936-1939, in difesa degli interessi coloniali britannici (si legga a questo proposito il bel saggio di Ghassan Kanafani sulla rivolta in Palestina del 1936-39).
La brigata, dopo aver partecipato ad alcune azioni belliche, iniziò subito dopo la guerra a
distinguersi per le sue attività illegali. Gli uomini dell’Haganà cercavano infatti sopravvissuti da portare forzatamente e illegalmente in Palestina, finché i britannici non furono costretti a sciogliere la brigata: “In July 1945, the British disbanded the Brigade, feeling they could no longer tolerate the illegal activities. A year later, the final convoy of Brigade soldiers returned home to Eretz Israel. When the State of Israel declared its independence in 1948, the battle-hardened and experienced Jewish Brigade soldiers helped organize and train the Israel Defense Forces”.
L’esperienza militare acquisita da questi combattenti sionisti, contribuì quindi alla nascita
dell’esercito israeliano. Mordechai Gichon tiene comunque a precisare alla giornalista il suo punto di vista su quello che successe dopo la guerra. “’After the war, the attitude of the British to the Jews changed.’ Churchill lost the 1945 general election, and the new Labour government was decidedly less sympathetic toward the Jews. ‘Ernest Bevin, the new Foreign Minister, was anti-Semitic and anti-Israel,’ says Gichon. ‘He did not want the Jews to go to Israel.’”Ovviamente quelli che non sono d’accordo con i sionisti sono sempre anti-semiti e anti-Israele, e i britannici entrarono nella lista.
Questa è dunque la vicenda della Brigata ebraica contaminata dall’Haganà. Rimando ogni
approfondimento sulla storia segreta della brigata al documentario Their Own Hands. The Hidden Story of the Jewish Brigade in World War II del filmmaker di Chicago Chuck Olin; mentre per l’organizzazione Haganà e la nascita dello stato di Israele, invito alla lettura del libro di Ilan Pappe La pulizia etnica della Palestina.
Ben diversa invece la partecipazione degli ebrei italiani alla guerra di liberazione, che facevano parte in ordine sparso dei diversi gruppi di partigiani. Grazie anche al loro sacrificio è stato possibile sconfiggere il nazifascismo, e grande è la riconoscenza che a loro dobbiamo. Pur non essendo organizzati come gruppo partigiano, esisteva una organizzazione ebrea legale, la “Delasem”, che si occupava soprattutto di assistenza ai profughi ebrei. Se in Italia il contributo degli ebrei è avvenuto nelle fila delle formazioni partigiane, di enorme importanza è stata invece la rivolta ebraica (aprile/maggio del 1943) del Ghetto di Varsavia, avvenuta mentre si stavano verificando le ultime deportazioni in direzione dei campi di sterminio. Chavka Fulman-Raban, una donna tra i pochi superstiti viventi del Ghetto di Varsavia, ha tenuto di recente un discorso commemorativo illuminante, per la pace, contro l’occupazione israeliana e per la libertà dei popoli. “Ribellatevi all’occupazione”, dice Chavka Fulman-Raban. “È vietato per noi governare un altro popolo, opprimere un altro popolo.” Riporto quasi integralmente il suo discorso nella traduzione italiana, giusto per far capire la differenza che passa tra una guerra di liberazione contro l’occupante militare e una brutale occupazione militare in nome di una grande tragedia umana: la Shoah. Stiamo avvicinandoci alla fine della generazione Shoah e di quella del ghetto di Varsavia. Ho sentimenti contrastanti e pensieri sul passato, presente e futuro. Io vi racconto un’esperienza. Primavera 1942. Ero un corriere per un’operazione segreta ed ero andata a trovare un mio amico del movimento giovanile, Dror Bachrubishov, nella Polonia orientale occupata. Dalla finestra della piccola stazione ferroviaria ho visto accanto ai binari della ferrovia una grande folla: migliaia di uomini, donne e bambini. Li sorvegliavano i tedeschi a cavallo. Ho notato quattro ragazzi che scavavano una fossa. I soldati hanno sparato e vi sono caduti dentro. Il mattino seguente il campo era vuoto. I treni li avevano portati alla morte. Capii che questo era l’inizio della Shoah. Consapevole di questa terribile verità sono tornata nel ghetto di Varsavia: era importante trovare armi, soprattutto dopo la deportazione di 300.000 ebrei da Varsavia a Treblinka durante l’estate del 1942. Il 19 aprile 1943, 70 anni fa, scoppiò la rivolta ebraica. Io non ne facevo parte: ero stata arrestata durante le operazioni di resistenza a Kharkov
ed era stata portata ad Auschwitz. La maggior parte dei miei amici sono morti e il mio cuore non li dimentica . Lasciate nei vostri cuori e nei vostri ricordi un posto per loro: la generazione più giovane che è caduta nell’ultima battaglia. Continuate la ribellione. Una ribellione diversa, ora contro il male, anche il male accade nel nostro paese. Ribellatevi contro il razzismo, la violenza e l’odio verso chi è diverso. Contro la disuguaglianza, le disparità economiche, la povertà, l’avidità e la corruzione. Rafforzate l’educazione umanistica, i valori dell’etica e della giustizia. Ribellatevi contro l’alcolismo e il fenomeno terribile degli attacchi contro gli anziani. Ribellatevi all’Occupazione. È vietato per noi governare un altro popolo, opprimere un altro popolo. La cosa più importante per noi è raggiungere la pace e porre fine al ciclo del sangue. La mia generazione sognava la pace. Ho così voglia di raggiungerla. Tutte le mie speranze sono con voi. (Da frammentivocalimo.blogspot.it)
Giuseppe Pusceddu
27 aprile 2013