Lo scrittore israeliano David Grossman e le storie dei bambini palestinesi
Occupandomi da diversi anni di Palestina e di questioni letterarie, mi ha molto incuriosito la decisione dei consiglieri comunali di Cagliari di conferire la cittadinanza onoraria allo scrittore israeliano David Grossman. E mi hanno incuriosito in primo luogo le argomentazioni dei consiglieri che ritraggono Grossman con grandi e importanti titoli per uno scrittore, come “sostenitore del dialogo” e addirittura “ambasciatore di pace in tutto il mondo”.
Poi mi è venuto un dubbio, ma chi ha deciso di conferire l’onorificenza si è documentato, oltre che sui libri di narrativa, anche sulle posizioni politiche di Grossman, sul ruolo che come intellettuale israeliano esercita nel conflitto in Medio Oriente, insomma sugli effettivi “meriti” umanitari dello scrittore?
Eppure, per capire bene la politica israeliana e il ruolo che Grossman ha esercitato ed esercita tuttora basterebbe rileggersi le dichiarazioni dei tanti intellettuali, scrittori, accademici e artisti israeliani (non arabi o sardi, ma israeliani!) di fama internazionale come Yitzhak Laor, Gideon Levy, Hanan Hever e Gilad Atzmon tra gli altri, che a più riprese hanno denunciato pubblicamente la dubbia moralità di David Grossman, accusandolo, nel suo “travestimento da uomo di pace”, di essere responsabile della “propaganda ipocrita e bellicosa” di Israele. Insomma, un abile persuasore liberal chic, un caso esemplare di intellettuale da riflessione gramsciana.
Di Grossman sappiamo che è stato a favore di guerre di aggressione ai danni sia della popolazione libanese (con l’attacco israeliano del sud del Libano nell’estate del 2006), sia di quella palestinese, come l’attacco a Gaza del 2008-2009, in cui le forze armate israeliane sono state ritenute responsabili dall’Onu, nel cosiddetto “Rapporto Goldstone”, di aver deliberatamente colpito dei civili in più occasioni, specialmente donne e bambini.
Sappiamo che lo scrittore è tra coloro che negano, traendone vanto, il diritto al ritorno del popolo palestinese (risoluzione Onu numero 194 del 1948), diritto si badi bene fondamentale per la pace.
Sappiamo ancora che Grossman ha riaffermato di recente la legalità dell’occupazione militare israeliana nei Territori palestinesi (posizione denunciata dal professor Hanan Hever in un recente articolo pubblicato dal quotidiano israeliano “Haaretz”).
Lo scrittore israeliano ha quindi una grande responsabilità nell’occupazione militare, grazie al suo ruolo importante di intellettuale e al prestigio di cui gode. La produzione intellettuale politica di Grossman fa parte di quello che si definisce Brand Israel, così come ne fa parte il fenomeno del Pinkwashing, ovvero la “ripulitura” dei recenti massacri compiuti da Israele con la pubblicità che mostra un paese democratico, friendly e aperto alle coppie gay di tutto il mondo. Brand Israel è dunque la propaganda massiva israeliana che cerca in questo ultimo periodo di far apparire lo stato di Israele come l’unico paese democratico in Medio Oriente, cercando di far dimenticare l’occupazione militare quotidiana e l’apartheid di fatto della Palestina.
Mi rendo conto che non è facile a Cagliari e in Italia documentarsi sulla reale situazione palestinese, considerato lo spazio esiguo e disinformante che i mezzi di comunicazione di massa dedicano alla questione.
Vorrei per questo invitare i firmatari della proposta di cittadinanza a fare un percorso più facile e a noi anche più vicino: cioè riandare proprio al festival “Tuttestorie”, di cui lo scrittore è presidente onorario, e arrivare al 2009, quando Marino Sinibaldi intervistò la scrittrice palestinese Suad Amiry ospite a Cagliari.
Suad Amiry, autrice acclamata di Sharon e mia suocera, ricordò allora quanto fosse difficile la vita nei Territori occupati palestinesi, e lo fece con un aneddoto inquietante diventato famoso, quello del visto israeliano alla cagnolina malata. Muoversi, come è noto, nei Territori palestinesi occupati dalle forze armate israeliane, è molto difficile per ciascun palestinese, andare poi a Gerusalemme (la famosa “capitale” dei due stati rimasta tale solo nelle carte dell’Onu) è praticamente impossibile. Alla cagnolina malata della scrittrice era stato concesso dal veterinario un visto per cui poteva essere curata a Gerusalemme, mentre per la padrona palestinese, che risiedeva a Ramallah (una ventina di chilometri), il visto era stato negato, così come tante volte le è stato negato il permesso di uscire dalla Palestina occupata.
Questo era il racconto di ordinaria occupazione e di apartheid che il pubblico del festival “Tuttestorie” di Cagliari, probabilmente “digiuno” di questione palestinese, aveva ascoltato con attenzione.
Purtroppo tra gli scrittori e intellettuali palestinesi non tutti hanno la fortuna di poter qualche volta viaggiare e raccontare le loro storie. In tanti, infatti, escono ed entrano molto facilmente dalle carceri israeliane, è il caso ad esempio di Ahmad Qatamesh, attivista non violento, scrittore ed accademico, arrestato diverse volte senza nessuna accusa, grazie all’odiosa pratica israeliana chiamata “detenzione amministrativa”. La vicenda di Qatamesh è stata denunciata ripetutamente da Amnesty International nel corso di questi ultimi anni.
Gli scrittori e intellettuali palestinesi hanno sempre rappresentato un grande ostacolo all’occupazione militare israeliana, grazie al loro impegno, alla loro capacità di indipendenza e alle denunce contro le brutalità compiute dal sionismo. Voglio ricordare su tutti Ghassan Kanafani, uno dei più grandi scrittori contemporanei, assassinato nel 1972 a Beirut con la nipote sedicenne Lamees dai servizi segreti israeliani.
Molti racconti di Kanafani vedono i ragazzi protagonisti delle storie, ragazzi palestinesi a cui, nel corso degli anni, il futuro è stato negato prima dai feroci attacchi terroristici delle bande sioniste, poi dall’odiosa occupazione militare israeliana che si è protratta sino ai nostri giorni.
Quotidianamente i ragazzi e i bambini palestinesi dei Territori occupati vengono presi di mira dai coloni israeliani. Dove c’è un’alta concentrazione di coloni (cioè quasi dappertutto), questi bambini non possono andare a scuola, non possono giocare, non possono uscire per strada perché rischiano la vita a causa di atti barbari compiuti dagli occupanti in nome di uno stato religioso, il loro, lo stato ebraico, lo stesso di David Grossman.
Dopo la guerra in Libano del 2006, quella appoggiata da Grossman, il 90 per cento delle bombe a grappolo sono state disseminate da Israele nelle ultime 72 ore del conflitto, quando si sapeva che la guerra sarebbe finita (un fatto “scioccante e completamente immorale”, dichiarò l’allora segretario dell’Onu Kofi Annan). Oltre centomila ordigni inesplosi in Libano, sparsi su 359 siti da bonificare, sono diventati così dei pericolosissimi “giocattoli” per i bambini libanesi.
E poi ci sono i bambini di Gaza, quel pezzetto di terra definita da Noam Chomsky come “la prigione a cielo aperto più grande del mondo”, dove metà della popolazione ha meno di 14 anni. Negli attacchi israeliani del 2008-2009 alla popolazione di Gaza (operazione “Piombo fuso”), sono stati colpiti gli ospedali, le scuole, le sedi dell’Unrwa, luoghi simbolo di civilità, riparo per la popolazione, soprattutto per i più piccoli. In questi attacchi è stato usato il fosforo bianco, sono stati massacrati centinaia di bambini, e i piccoli sopravvissuti non potranno mai più avere una vita normale, non potranno mai più giocare come gli altri bambini, non potranno più sognare, perché i loro sogni saranno sempre incubi. Un disastro umanitario, una intera generazione segnata per sempre. E poi sempre a Gaza, solo pochi mesi fa (novembre del 2012), durante l’operazione “Pilastro di difesa”, sono stati uccisi centinaia di civili, tra cui diverse decine di bambini; per non parlare del migliaio di feriti, tra cui naturalmente diverse centinaia di bambini.
Queste, certo, non sono storie che si raccontano nei festival di letteratura per ragazzi. Ma credo che sindaco e Consiglio comunale di Cagliari dovrebbero tenere bene a mente questi documentati crimini perpetrati da Israele, prima di conferire la cittadinanza onoraria allo scrittore israeliano David Grossman.
Giuseppe Pusceddu, direttore della rivista di cultura sarda “Miele Amaro”