Storie di vita dalla Palestina occupata_8

Storie di vita dalla Palestina occupata_8

Iyad Hreibat

(a cura dell’Associazione Amicizia Sardegna Palestina)

Iyad è uno dei prigionieri in precarie condizioni di salute nelle carceri israeliane. La sua famiglia ha deciso di montare una tenda, proprio di fronte a casa sua. Dentro sono state sistemate tante sedie e il te viene servito in continuazione per accogliere le tante persone che arrivano a dare conforto e a farsi raccontare di Iyad. La mamma è seduta in fondo alla tenda, porta l’abito tradizionale palestinese, attorno a lei i suoi figli più piccoli, che la aiutano a ricostruire la storia e spiegare come “la tenda è stata montata per attirare l’attenzione di tutti, perché Iyad e gli altri non passino inosservati”.

Iyad è stato arrestato nel 2002, quando di anni ne aveva appena 19, ed è condannato all’ergastolo. La madre è sempre andata a trovarlo. Un anno fa circa, in una delle visite, ha notato che era molto stanco, visibilmente provato, ma Iyad la tranquillizzò, dicendole che non era niente di cui preoccuparsi. “È solo un po’ di influenza, mamma, nient’altro.” Ma ad ogni colloquio che passava Iyad stava sempre peggio.

Racconta la mamma: “Un giorno sono andata al colloquio con l’altro mio figlio, ma Iyad non mi ha riconosciuto! Non ha riconosciuto nessuno dei due. Si è innervosito: “non parlo con voi, voi fate parte dello Shabaq, non ci parlo con voi – insisteva- portatemi mio padre, voglio parlare con lui, solo con lui, voi andate via, non vi credo.” Quando due settimane dopo il padre è riuscito ad ottenere il permesso di incontrarlo non l’ha potuto vedere, Iyad non era capace nemmeno di camminare per arrivare alla sala degli interrogatori.

Qualche tempo dopo la mamma è tornata a trovarlo, Iyad era molto debole, ma lucido, diceva di non ricordare quanto era successo, diceva che gli stavano dando dei farmaci, delle pillole per farlo stare bene: “mi stanno drogando mamma, non sono pillole per curarmi, vogliono stordirmi!

Il fratello più piccolo ci racconta di essere andato a trovarlo il 14 gennaio scorso “Non riusciva a muoversi – ci racconta- era tanto debole da non poter parlare, da non riuscire nemmeno ad aprire gli occhi.

La famiglia è convinta che le autorità carcerarie siano responsabili per le condizioni di Iyad.

È sempre stato un ragazzo forte e in salute – dicono – era molto attivo in carcere. Era fra quelli che più di tutti lottava per i diritti dei detenuti. Si è sempre dato da fare. È riuscito a laurearsi in scienze politiche e a studiare anche due lingue straniere. Non lo stanno curando, lo drogano con altri farmaci e lui sta sempre peggio.

Il giorno dopo rincontriamo la famiglia intera in un sit in di fronte alla sede della Crocerossa a Hebron, ci sono i fratelli di Iyad e le sue nipoti, ci sono le famiglie di tutti i detenuti che come lui sono malati e si trovano in carcere. Le loro facce sono appese ai muri, sono dentro ai manifesti circondati da disegni di catene spezzate, sono al collo dei bambini e delle donne, fra le mani dei padri.

Addameer, l’Associazione dei diritti umani in supporto ai detenuti palestinesi, offre un quadro abbastanza preciso della negligenza medica del servizio carcerario israeliano. Le condizioni stesse in cui i prigionieri vivono hanno un impatto negativo sulla loro salute. I medici delle carceri, talvolta, non parlano l’arabo. I detenuti devono aspettare lunghi periodi per avere le cure o gli esami clinici necessari. La gran parte delle volte vengono somministrati loro degli antidolorifici, senza approfondite analisi mediche, invece che gli adeguati farmaci. Gli spostamenti in cliniche specializzate hanno tempi di attesa molto lunghi.

Teresa Batista