VALLE GIORDANO, SOPRAVVIVENZA A RISCHIO
Le demolizioni di una settimana fa vicino a Gerico fanno parte di un vasto piano israeliano volto al trasferimento forzato delle comunità palestinesi della Valle del Giordano. Tramite la confisca di terre e di risorse idriche.
MARTA FORTUNATO
Al-Jiftlik (Valle del Giordano), 30 gennaio 2012, Nena News (in foto, Thiab e la sua famiglia) – “E’ arrivato l’esercito e in mezz’ora ha distrutto tutto. Stavamo costruendo da quattro mesi”. Thiab Abd al-Hamid ha lo sguardo cupo e rassegnato, quando parla delle ultime demolizioni che sono avvenute ad al-Auja, un piccolo villaggio della Valle del Giordano, a 16 chilometri a nord di Jericho. E’ il proprietario di uno dei nove negozi che sono stati distrutti il 23 gennaio scorso dalla autorità israeliane. Nel 2009 la decisione di costruire un complesso di nove strutture commerciali di 53 m² ciascuna, nel 2010 lo stop dell’Amministrazione Civile Israeliana per mancanza di permesso edilizio. E una settimana fa la demolizione. Ma in area C il rilascio di un permesso da parte delle autorità israeliane è praticamente impossibile da ottenere, quindi ai palestinesi non rimane altra scelta che costruire col continuo timore di vedersi consegnato un ordine di demolizione. Com’è avvenuto qualche giorno fa anche agli abitanti di al-Aqaba, un piccolo villaggio nell’area di Tubas: 12 abitazioni sono in pericolo e presto potrebbero essere presto abbattute.
“Avevo investito 100.000 NIS (circa 20.000 euro), ora non ho più niente. Ho dei figli da mantenere, un affitto da pagare. Che altro posso fare qui?” ha continuato Thiab. Forse, anche lui, come già tanti prima, sarà costretto ad andarsene. E’ in corso un lento e silenzioso trasferimento forzato che pian piano sta svuotando l’area C e sta spostando i palestinesi verso le città. “Si stanno creando dei veri e propri bantustan, come in Sudafrica” ha detto Thiab. E l’area del Giordano, ricca di acqua e con microclima adatto all’agricoltura, è nel mirino delle politiche israeliane.
Ad al-Auja oggi sono rimaste 5044 persone (dati del 2011, Centro Palestinese di statistica). Come ha raccontato a Nena News Abu Mohammad, il sindaco di al-Auja, un tempo il villaggio si basava sull’agricoltura ed era conosciuto per la produzione di banane. “Esportavamo in Giordania e persino in Libano, ma adesso tutto è cambiato” ha spiegato – Israele ci ha tolto l’acqua, l’oasi dove vivevamo si è trasformata in un deserto secco ed arido. Ed ora solo in un’area piccolissima del villaggio è possibile coltivare: non più banane, ma palme e alcuni tipi di ortaggi che riescono a sopravvivere anche con l’acqua salata”. Negli anni ‘70 sono sorte le prime colonie e sono avvenute le prima confische di terra coltivabile. Nel 1972 la compagnia privata israeliana Mekarot ha iniziato a scavare due pozzi che pian piano hanno ridotto la portata della falda acquifera. Con la Seconda Intifada la situazione è diventata insostenibile: Israele ha stabilito il totale controllo sulla sorgente di al-Auja, appropriandosi dell’acqua ancora prima che potesse sgorgare dalla fonte. E profondi tubi la portano direttamente all’interno delle colonie. Molti palestinesi sono costretti a comprare l’acqua dalla compagnia israeliana Makorot o a far uso di pozzi con infiltrazioni saline poiché la profondità massima consentita è 160 metri – mentre i pozzi israeliani raggiungono i 300 metri. Una chiara politica di apartheid, denunciata anche da un recente rapporto redatto dalla commissione Affari Esteri del Parlamento francese.
E il dramma di al-Auja non termina qui: il villaggio è circondato da una serie infinita di piccoli insediamenti dove vive un numero molto piccolo di coloni, i quali si basano sulla sfruttamento della manodopera palestinese. “Siamo contadini da generazioni, abbiamo esperienza nell’agricoltura. E Israele ci ha tolto le nostre terre per obbligarci a lavorare nelle colonie. In questo modo ha manodopera esperta a bassissimo costo. Ogni lavoratore guadagna 50 – 60 NIS (10-12 euro) per otto ore di lavoro” ha spiegato Abu Mohammed.
Attraverso le demolizioni, la confisca delle risorse idriche, il trasferimento forzato e lo sfruttamento della forza lavoro, Israele porta avanti la propria politica di occupazione ed annessione delle terre della Valle del Giordano. Nena News